Scontri in piazza e repressione: cosa succede in Kuwait

Sono scesi in strada a centinaia, per diversi giorni di seguito, dapprima per chiedere la liberazione del noto leader dell’opposizione Musallam al-Barrak, ma soprattutto per dire basta alla corruzione imperante nel paese.

La giornata più dura è stata domenica, quando più di 2.000 persone, partite dalle Grande Moschea di Kuwait City dopo le preghiere della sera, si sono riversate verso la zona dei tribunali dove sono state circondate dalla polizia e attaccate con granate assordanti e gas lacrimogeni.

Secondo gli attivisti, sarebbero decine i manifestanti che sono stati portati in ospedale, intossicati dai gas, e almeno una trentina gli arresti.

“Le forze di sicurezza hanno sparato proiettili di gomma contro i manifestanti puntando al torace invece che alle gambe, in una palese violazione delle procedure legali durante i cortei” ha denunciato ad al Jazeera, Rana al-Sadoun, membro del Comitato nazionale per il monitoraggio delle violazioni.

Affermazione subito smentita da una breve dichiarazione del ministero degli Interni secondo cui alla manifestazione di domenica, non autorizzata, non ci sarebbe stato nessun ferito, mentre non si fa nessuna menzione degli arresti.

Le foto dei manifestanti a terra, però, hanno subito fatto il giro dei social network, mentre la folla ha continuato a marciare anche il giorno dopo, questa volta per festeggiare il rilascio del leader politico ed ex parlamentare di opposizione Musallam al-Barrak, liberato su cauzione.

Anche lì la polizia è intervenuta con forza per disperdere i manifestanti che urlavano a gran voce: “Vogliamo una magistratura pulita”.

Musallam al-Barrak era stato arrestato la settimana prima, il 2 luglio, proprio con l’accusa di “insulto alla magistratura”, per aver mostrato durante un comizio pubblico dei documenti che, secondo lui, rivelerebbero il trasferimento illecito di ingenti somme di denaro da parte dei membri della famiglia regnante ed ex funzionari di governo verso alti dirigenti e pubblici ufficiali, giudici compresi.

Accuse che il primo ministro kuwaitiano Al Jaber Mubarak Al Sabah ha respinto in toto, definendo la documentazione apportata dall’ex parlamentare “costruita ad arte e priva di valore”.

Già nel 2013 Musallam al-Barrak era stato condannato al carcere – per aver insultato l’emiro – e poi assolto, innescando una serie di animate proteste di piazza.

Forte del sostegno di potenti tribù del Kuwait, il leader politico ha alle spalle una lunga attività parlamentare, stabilendo alle elezioni del febbraio 2012 perfino un record per il maggior numero di voti ricevuti.

Per poi ribellarsi e boicottare lo scruitinio successivo, quando l’emiro del Kuwait, lo sceicco Sabah al-Ahmed al-Sabah, ha deciso all’ultimo di cambiare la legge elettorale con lo scopo, secondo al-Barrak, di favorire la maggioranza al governo.

E mentre al-Barrack aveva già perso l’immunità parlamentare, da allora in pratica l’intera opposizione da lui guidata ha deciso di estromettersi dal parlamento.

Si potrebbe pensare che questi avvenimenti siano anche il segno della modernità del paese, uno dei pochissimi nel Golfo ad avere un parlamento eletto dai cittadini dotato di un effettivo potere politico (legislativo), oltre che di un’opposizione agguerrita che sfida continuamente il gruppo al potere, senza paura di denunciare al pubblico i numerosi scandali di corruzione.

Contemporaneamente, però, il Kuwait è anche il paese dove ogni manifestazione e assembramento che preveda più di 20 persone necessita di un permesso ufficiale da parte del governo.

“Il Ministero dell’Interno affronterà con mano ferma tutti gli eventuali segnali di disturbo, violenza e incitamento alla violenza (…) per impedire di mettere a rischio la sicurezza della nazione e dei cittadini” recitava un comunicato governativo a proposito di queste ultime manifestazioni.

I kuwaitiani, però, continuano a sfidare questo divieto, galvanizzati dalla combattività dell’ex parlamentare senza peli sulla lingua.

Non che al-Barrak non sia anche lui una figura controversa: le sue idee politiche possono considerarsi in gran parte conservatrici (è stato uno dei tanti parlamentari che hanno votato per la segregazione di genere nelle scuole e nelle università nel 2008, e per la condanna a morte a chi insulta l’Islam, legge proposta all’inizio dell’anno scorso e poi eliminata dall’emiro).

Da tempo, però, l’opposizione da lui capeggiata, che a marzo si è riunita sotto un gruppo ombrello chiamato “Coalizione di opposizione”, chiede con forza una riforma costituzionale più democratica, che permetta ad esempio anche agli altri cittadini, e non solo ai membri della famiglia regnante, di concorrere per la carica di primo ministro.

Soprattutto, la sua costante e battagliera denuncia della corruzione negli alti quadri della società ha avuto l’effetto di risvegliare e incitare a tornare in piazza altri segmenti di cittadini, come i giovani, i gruppi tribali, gli islamisti, i nazionalisti e i gruppi di sinistra, che ormai da anni chiedono più riforme e un spinta più decisiva da parte del governo verso lo sviluppo economico e sociale del paese, oggi in declino.

Nonostante sia il terzo più grande produttore di petrolio dell’Opec, oltre che uno tra i principali alleati degli Stati Uniti, il Kuwait figura infatti all’ultimo posto tra i paesi del CCG per “competitività globale”, in un rapporto pubblicato dal World Economic Forum.

E l’instabilità di questi anni non ha aiutato: dal 2006, almeno una dozzina di governi sono stati formati e sei parlamenti eletti, a causa dei continui battibecchi fra maggioranza e opposizione.

A questo si aggiungono i pericoli e le turbolenze che arrivano dai confini, come la guerra in Siria e nell’ultimo periodo l’avanzata dei jihadisti in Iraq, di fronte ai quali il governo aveva pure cercato di richiamare i propri cittadini alla responsabilità, così come hanno fatto i vicini in Arabia Saudita e in Giordania.

“Non possiamo permetterci il lusso di queste differenze e divisioni, di questi argomenti vuoti e giochi politici, mentre le catastrofi bussano proprio a casa nostra – aveva detto l’emiro Sabah al-Ahmed al-Sabah alla fine di giugno – Siete a conoscenza di ciò che sta accadendo non lontano da noi? Ora, più che mai, abbiamo bisogno di serrare i ranghi e stare insieme per passare in modo sicuro attraverso i pericoli che hanno travolto e stanno spazzando coloro che sono ancora più forti di noi”.

A quanto pare, però, l’opposizione kuwaitiana è ancora decisa a dare battaglia. “Ne abbiamo avuto abbastanza – ha detto Al-Barrack rivolto alle folle – E’ tempo di combattere la corruzione, e la battaglia inizia proprio ora”.

Foto di Entheta da Wikimedia Commons.

July 10, 2014di: Anna ToroKuwait,Video:

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