Sawtuha: la protesta in musica tutta al femminile

Sono diverse, sono artiste, sono tutte donne e si sono riunite in un progetto speciale: cantare la propria esperienza della Primavera Araba, alla luce delle speranze e delle delusioni a tre anni dalle rivolte.

La compilation si chiama Sawtuha, che tradotto dall’arabo significa più o meno “la sua voce”. Uscita all’inizio del 2014, è il risultato finale di una session di due settimane in cui un gruppo di cantanti e musiciste provenienti dal centro del mondo arabo si sono riunite, al Mohsen Matri Studio di Tunisi, per cantare contro la corruzione, il dispotismo, la disuguaglianza di genere e la ristrettezza mentale.

Le ragazze sono in tutto nove e sono artiste di prim’ordine: si tratta di Nawel Ben Kraiem, Badiaa Bouhrizi, Medusa, e Houwaida dalla Tunisia, la cantante Nada dalla Libia, Donia Massoud, Maryam Saleh e Youssra El Hawary dall’Egitto, e infine Rasha Rizk dalla Siria (che ha registrato il suo brano qualche mese più tardi dal suo asilo politico al Cairo).

L’idea è venuta un anno dopo quell’incredibile periodo del 2011 in cui l’escalation di rivolte e sollevazioni popolari ha portato al rovesciamento dei governi in Tunisia, Egitto e Libia, con migliaia di persone che si sono riversate nelle strade e nelle piazze per chiedere a gran voce più diritti e la possibilità di partecipare finalmente al processo politico del proprio paese.

Se le donne in prima linea sono state moltissime, a tre anni da quegli eventi per molte di loro la situazione è addirittura peggiorata – si pensi all’Egitto e alla piaga delle violenze sessuali.

Ma l’esplosione della vitalità e creatività giovanile araba – a partire dall’aggiramento della censura attraverso i social media, fino all’arte e naturalmente alla musica – è innegabile e non può essere dimenticata.

Ecco perché Sawtuha è importante: il disco rivela la coscienza politica e lo spirito rivoluzionario di quelle donne che, nonostante gli attuali disagi a livello sociale, economico e politico, hanno rifiutato di fare marcia indietro e hanno comunque vissuto l’esperienza rivoluzionaria come un arricchimento.

Prodotto dalla Jakarta Records, il progetto è stato finanziato dal ministero degli Esteri tedesco e dalla ong berlinese Media in Cooperation and Transition (MICT), e si è avvalso della collaborazione del rapper e produttore musicale Oddisee (Amir Mohamed El-Khalifa, nato da madre afro-americana e padre sudanese, ma residente negli Usa) insieme a Olof Dreijer, del duo svedese di musica elettronica The Knife, e il francese Blackjoy, che ha creato i remix per più tracce.

La musica è una miscela organica di musica tradizionale araba con le sue diverse influenze regionali e vari generi musicali occidentali contemporanei, come il l’hip hop, il rock e il dub.

Basta ascoltare il brano di apertura della compilation, “Nuh Al Hamam” dell’egiziana Maryam Saleh, per capire che aria tira: prodotto da Oddisee, il pezzo è un perfetto esempio di come lo stile di canto orientale di Saleh s’intrecci in modo accattivante e avventuroso con sintetizzatore e moderni campionamenti.

Dopo Saleh, si balla con le fisarmoniche pop di Youssra El Hawary, il rap selvaggio di Medusa, il pop elettronico di Badiaa Bouhrizi; fino a un momento più meditativo, con il romanticismo sofisticato e suadente di Nawel, o lo strumentale onirico di Houwaida, in cui il pianoforte si intreccia con la musica nordafricana in quello che potrebbe essere descritto come un “poema sinfonico-atmosferico”; ancora, arriva la voce da brividi di Rasha Rizk, fino all’esplosione di tabla remixata e tradizione, sotto il cantato di Donia Massoud, e così via.

Il tocco magistrale, in tutti i pezzi comprese le bonus-track finali, è dato dai remix, potenti e mai scontati, che mostrano come la musica non tolleri confini e gabbie né culturali né geografiche. Così come non ha confini la rivoluzione cantata da queste donne, le cui aspirazioni si sono scontrate con la disillusione del contesto politico attuale, ma che proprio per questo non deve finire qui.

La copertina dell’album è già un segno di tutto questo: rappresenta infatti una motocicletta cavalcata da una piramide di uomini e donne, che romba veloce seguendo un cartello su cui è scritto “Hooriya“, libertà.

“Ancora oggi, soprattutto gli artisti e soprattutto le donne sono intrappolate in una spirale repressiva, discriminatoria e violenta – si legge sul sito della Jakarta Records – Sawtuha è una testimonianza incoraggiante e vitale di ribellione contro la repressione dei diritti democratici, la disuguaglianza di genere, e la mancanza di inclusione”.

Per ascoltare tutta la compilation clicca qui.

June 22, 2014di: Anna ToroEgitto,Libia,Siria,Tunisia,

Gestione cookie