Marocco. Dove la stampa diventa “terrorista”

Ali Anouzla, dopo 39 giorni di carcere, è in libertà provvisoria ma resta indagato per “apologia del terrorismo, incitamento e sostegno materiale all’esecuzione di atti terroristici”. Un seguace di Bin Laden? No, un giornalista indipendente.

Che la libertà di espressione nella monarchia maghrebina, e ancor più quella di stampa, stia subendo negli ultimi anni dei bruschi contraccolpi è una constatazione evidente, testimoniata dalla chiusura forzata di alcune tra le maggiori testate indipendenti (Le journal hebdomadaire, Nichane, Al-Jarida al-Oula), dai numerosi processi intentanti contro direttori e giornalisti (Akhbar al-Youm, Tel Quel, Khalid Gueddar, Ali Amar, Aboubakr Jamai..) e dalle pene detentive emesse dai tribunali al loro indirizzo (Ali Lmrabet, Rachid Nini).

“Questo tipo di ritorsioni è il prezzo da pagare quando si difendono valori che il [nostro] sistema viola quotidianamente”, affermava di recente Ahmed Benchemsi, tra le penne marocchine più stimate e conosciute, riparato negli Stati Uniti (Università di Stanford) in seguito alle pressioni subite in patria.

L’informazione libera spaventa il regime di Rabat, che mal tollera critiche e dissenso e continua a imporre linee rosse stringenti (affarismo di corte e inviolabilità monarchica, islam, unità nazionale); è questa la conclusione a cui sono giunte le principali ong che si battono per la difesa dei diritti nel regno.

Un assunto confermato dagli stessi professionisti del settore, che sempre più difficilmente tacciono di fronte alle minacce ed ai compromessi imposti.

Nonostante le “aperture” e la retorica riformista avviata a fine anni ’90, infatti, le autorità sono riuscite ad imbrigliare il panorama mediatico nazionale, impedendogli di assumere il ruolo di garante dell’annunciata “transizione” e quella funzione di controllo del potere, sintomo della salute di ogni democrazia, sia essa consolidata o in divenire. I canali televisivi restano di esclusivo monopolio statale, la comparsa delle radio private – seguita alla liberalizzazione dell’etere – è inquadrata da un’autorità di nomina politica (HACA), e il proliferare di titoli nelle edicole sembra ormai inversamente proporzionale alla qualità dei loro contenuti.

E’ proprio la carta stampata, tuttavia, ad aver offerto maggior resistenza all’addomesticamento, prima che il boicottaggio da parte degli inserzionisti pubblicitari e i verdetti dei tribunali – culminato nel “biennio nero” 2009-10 – portassero al soffocamento o alla revisione della linea editoriale dei suoi elementi più insubordinati.

In queste circostanze, per molti giornalisti il passaggio al web si era rivelata una scelta obbligata. Così è stato, ad esempio, per Ali Anouzla, icona della stampa indipendente in Marocco e fondatore del sito di informazione Lakome.

“Dopo la fine di Al-Jarida al-Oula avevo bisogno di un spazio per continuare ad esprimermi […]. Non avevo i soldi per creare una nuova pubblicazione cartacea e la rete era il sistema più accessibile a livello economico oltre che il più affidabile per sfuggire alla censura”, dichiarava Anouzla nel marzo del 2011, in piena “Primavera”, incarnata in loco dalle proteste del Movimento 20 febbraio contro l’autoritarismo e la corruzione.

“Da una parte a spingermi c’è l’amore per la professione, dall’altra è un modo per affermare: ‘ci siamo ancora! Non sarà così facile ridurci al silenzio’. […] Il contesto in cui è nato il sito – la rivoluzione tunisina e poi quella egiziana – ha fatto di Internet un mezzo privilegiato di comunicazione e di diffusione di notizie. E’ stata un’occasione in più per veder valorizzato il nostro impegno”.

La credibilità e il rispetto conquistato da personaggi come Ali Anouzla, il cui esempio è stato seguito da altri colleghi, hanno assicurato la buona riuscita del progetto. A Lakome e al già rodato Hespress si sono rapidamente aggiunte altre testate – Goud, Febrayer – e piattaforme di blogger (come Mamfakinch) che hanno restituito, in rete, la professionalità e l’autonomia intellettuale scomparsa (salvo rare eccezioni) dalle edicole, raccogliendo un ampio numero di lettori.

“Sono pochi i supporti che oggi continuano a battersi per conservare la propria indipendenza – commentava nel luglio scorso Ahmed Benchemsi – […] ed è soprattutto dalla stampa on-line che arriva il maggior soffio di libertà e intraprendenza. Adesso, però, sembra essere arrivato il suo turno di saldare il conto”.

Amara profezia.

Come era prevedibile, l’esperienza dei quotidiani elettronici non ha suscitato soltanto l’interesse dei cittadini ma anche l’attenzione, e la reazione, delle autorità.

Il video di AQMI

Il 17 settembre scorso la Procura generale marocchina emetteva un mandato di arresto all’indirizzo del “responsabile” del sito Lakome “in seguito alla diffusione di un video attribuito ad AQMI (Al-Qaida nel Maghreb islamico, ndr) contenente un chiaro appello e un’incitazione diretta a commettere atti terroristi” nel regno alawita.

La stessa mattina gli agenti della polizia giudiziaria prelevavano Ali Anouzla dalla sua abitazione a Rabat e lo conducevano in carcere a Casablanca, dopo aver sequestrato computer, libri e documenti in casa del giornalista e nella sede della redazione.

Intitolato “Marocco: il regno della corruzione e del dispotismo“, il filmato in questione – diffuso attraverso il canale web al-Andalus e visibile su tutte le principali piattaforme di condivisione (YouTube, Dailymotion) – include alcuni frammenti di inchieste e reportage sulle malversazioni nel regno che vedono implicate le alte sfere monarchiche, invitando poi i marocchini al jihad.

Il video era stato ripreso e commentato dalla versione francofona di Lakome pochi giorni prima della decisione del procuratore, mentre la versione arabofona del sito – quella sotto la responsabilità di Anouzla – aveva apposto soltanto un link al blog del giornalista spagnolo Ignacio Cembrero (El Pais), dove venivano riprodotte le immagini.

Aboubakr Jamai, direttore dell’edizione in francese e residente all’estero, non ha subito fino ad ora provvedimenti. Ali Anouzla invece, dopo oltre un mese di custodia cautelare, resta incriminato per “apologia del terrorismo” e “incitamento e sostegno materiale all’esecuzione di atti terroristici”.

Le autorità, non potendo far leva sul Codice della stampa (già in sé molto restrittivo quanto a libertà e diritti) contro gli autori di una pubblicazione on-line, hanno fatto ricorso ad uno strumento ancor più repressivo. La Legge anti-terrorismo, infatti, riduce sensibilmente le garanzie dell’indagato (Ali ha potuto incontrare i suoi avvocati, per trenta minuti, solo quattro giorni dopo l’arresto) e prevede lunghe pene detentive (fino a 20 anni per questo tipo di imputazione).

“Anouzla – si domanda Pierre Haski nell’articoloMinacciato da al-Qaida il regime marocchino si scaglia contro..la stampa” – ha oltrepassato una linea rossa oppure ha fatto solo il suo mestiere dando ai lettori un’informazione che peraltro era già abbondantemente disponibile in rete?”.

“La pubblicazione del video di AQMI contribuisce all’informazione, i cittadini hanno il diritto di sapere che un’organizzazione terrorista minaccia i suoi dirigenti”, hanno risposto i collaboratori di Lakome in un comunicato, citando poi i casi di numerosi media europei che ripropongono abitualmente questo genere di filmati, prendendo le distanze dal loro contenuto come aveva fatto Anouzla. La stessa constatazione è stata fatta da molti altri giornali, tra cui i maggiori titoli della stampa mondiale (The Washington Post, The Guardian, Le Monde, Al-Jazeera), che hanno reagito con stupore alla triste vicenda in cui si trova coinvolto il giornalista.

Perché allora tanto accanimento?

Un giornalista “troppo libero”

La reazione delle autorità – spiega Haski dalle colonne di Rue89 – ha mostrato “un evidente nervosismo nei confronti del messaggio di AQMI, che denuncia la ricchezza e lo stile di vita del sovrano marocchino, temi considerati tabù nel regno”.

Tuttavia, per capire meglio cosa si nasconde dietro la vicenda, occorre scavare un po’ più a fondo e chiedersi: chi è Ali Anouzla e cosa rappresenta nella storia del giornalismo indipendente in Marocco?

A 49 anni, Ali non è nuovo alle ritorsioni del regime di Mohammed VI: convocazioni in commissariato, accuse e ingiurie per interposto mezzo stampa, processi e condanne a pesanti risarcimenti hanno accompagnato fin dall’inizio il suo percorso professionale, decretando in alcuni casi la fine di esperienze redazionali tra le più brillanti del panorama mediatico locale (è il caso del settimanale Al-Jarida al-Oula, di cui Anouzla è stato co-editore e direttore fino al 2010).

Alcuni colleghi lo avevano perfino soprannominato “il Julian Assange marocchino”, quando sulle colonne del suo giornale erano apparse testimonianze inedite sugli “anni di piombo” (dura repressione degli oppositori sotto il regno di Hassan II, 1961-1999) catalogate come top secret dall’Istanza Equità e Riconciliazione.

Più recentemente, dalle pagine del sito Lakome, aveva sostenuto le mobilitazioni pacifiche e democratiche del Movimento 20 febbraio, denunciando senza troppe reverenze la cooptazione della classe politica e le “riforme di facciata” (nuova Costituzione, elezioni anticipate) con cui le autorità avevano risposto nel 2011 alle rivendicazioni sociali e politiche della piazza.

“Quello a cui ci troviamo di fronte oggi è una pura strumentalizzazione ai danni di Ali, che ha sempre criticato la natura dispotica e clientelare del sistema – riferisce il blogger Najib Chouki -. Basta vedere le reazioni immediate di certi partiti, noti per la loro sottomissione al makhzen (struttura di potere piramidale, costituita anche da reti informali, che ha al suo vertice la corte reale, ndr), per capire che la deontologia c’entra ben poco. Si tratta di un chiaro regolamento di conti”.

Il video di AQMI sarebbe dunque nient’altro che un espediente.

La tempistica con cui è arrivato il provvedimento giudiziario sembra avvalorare le parole del blogger Chouki e le dichiarazioni analoghe rilasciate da molti altri professionisti del settore.

Negli ultimi mesi, infatti, Anouzla aveva suscitato più di un imbarazzo nelle alte sfere reali. In primis, chiedendo pubblicamente conto del continuo assenteismo monarchico in una fase di profonda crisi economica e politica del paese; poi ad inizio agosto, quando una sua inchiesta sulle grazie concesse da Mohammed VI in occasione della Festa del Trono aveva fatto scoppiare lo scandalo “Daniel Gate” (tra i graziati figurava un cittadino spagnolo più volte condannato per pedofilia), costringendo il sovrano a tornare sui propri passi di fronte all’indignazione popolare.

Infine, l’ultimo articolo scritto da Ali prima dell’arresto, in cui il giornalista si era soffermato largamente sulle ingerenze saudite nella regione mediorientale mettendo in guardia il Marocco da una rinnovata intesa con gli al-Saud, ormai tra i principali finanziatori delle casse del regno alawita.

“E’ questa voce coraggiosa che si vuole zittire. In gioco c’è la dignità di tutti i marocchini, qualunque siano le loro opinioni”, fa sapere Ali Sbai in un contributo intitolato “Ali Anouzla: un giornalista troppo libero ancora in prigione” apparso sul sito del Courrier International“. Si può non condividere il punto di vista di Lakome, ma il suo apporto nello sfatare tabù e nell’aprire le frontiere del dibattito a temi che toccano l’insieme della società rimane di capitale importanza nel cammino verso la libertà di espressione”.

“Carota e bastone”

L’arresto di Ali, così come la modalità in cui questo è avvenuto, avevano subito messo in allarme gli attivisti e i componenti più vigili della società civile, pronti a denunciare “l’ennesima deriva autoritaria del regime”. Manifestazioni e sit-in di solidarietà con il fondatore di Lakome si sono tenuti nelle principali città del regno e di fronte a svariati consolati all’estero.

Un comitato di sostegno – costituito da colleghi, avvocati, militanti per i diritti umani, artisti, ex-detenuti e membri dell’opposizione politica – ha guidato la campagna di sensibilizzazione dentro e fuori i confini nazionali (oltre 50 le ong coinvolte, tra cui Amnesty, HRW e la FIDH), proseguita a ritmo battente fino al giorno della scarcerazione di Anouzla.

Venerdì scorso infatti, dopo 39 giorni di detenzione preventiva, il giudice di istruzione ha accordato la libertà provvisoria al giornalista, che rimane tuttavia imputato degli stessi gravosi capi d’accusa.

La pressione esercitata sulla monarchia e sui ministri di Rabat sembra aver sortito i primi effetti positivi nella vicenda Anouzla, almeno sul piano personale, nonostante il comitato continui a rivendicare il pieno proscioglimento di Ali e la liberazione di tutti gli altri detenuti politici rinchiusi nelle prigioni marocchine.

Ma c’è anche chi, pur nella gioia del momento, non esita a parlare di ennesima “vittoria del makhzen“. Secondo lo scrittore e attivista Jacob Cohen questa situazione potrebbe paradossalmente avvantaggiare il sovrano, che ha tutto l’interesse nel mostrarsi magnanimo e nel lasciar ricadere l’intera responsabilità della vicenda sulle spalle del governo.

“Siamo di fronte ad un ribaltamento di prospettiva dal sapore machiavellico. E’ così che l’autocrate si muta in buon padre del popolo, pronto a far trionfare il bene al di sopra di tutto”.

Del resto “con l’arresto di Ali non si è cercato soltanto di mettere a tacere la sua voce – ricorda il giornalista Omar Radi – ma si è voluto anche dare l’esempio agli altri, spaventandoli e costringendoli all’autocensura per non incappare nello stesso genere di sanzioni”. Una constatazione condivisa da Cohen che insiste sul carattere “dissuasivo” dell’operazione.

“L’obiettivo è terrorizzare, giocando d’anticipo. Il messaggio: solo un’opposizione mediatica soft, rispettosa e ben inquadrata sarà tollerata. Per chi sgarra, un passaggio in carcere servirà a recuperare la ragione. E’ la politica ‘della carota e del bastone’, di cui Hassan II ci aveva già mostrato le sottigliezze lasciandoci in eredità una classe politica nel suo insieme servile, timorosa e corrotta”.

Stando alle voci dei diretti interessati, dunque, quello che si prospetta è un nuovo giro di vite su una libertà di stampa già notevolmente precaria (il Marocco occupa la 136° posizione nella classifica di Reporters sans Frontières). E i segnali, a volerli leggere, ci sono tutti. Nei giorni scorsi la censura si è abbattuta sui siti di Lakome – versione arabofona e francofona – ormai inaccessibili all’interno dei confini del regno.

E’ la prima volta che le autorità marocchine, da qualche tempo in possesso di una sofisticata tecnologia repressiva in materia, intervengono direttamente (pur senza nessuna esplicita ammissione) per oscurare il web.

A questo proposito, c’è chi inizia a parlare di una “Benalizzazione” del paese. Intanto, Ali Anouzla si prepara ad affrontare la seconda udienza del processo, prevista per il prossimo mercoledì.

(Una prima versione di questo articolo è stata pubblicata dal sito QCode Magazine)

*In foto: Ali Anouzla

October 29, 2013di: Jacopo Granci da Rabat Marocco,Articoli Correlati:

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