Iraq. Una testimonianza da Mosul

I combattimenti in Iraq continuano. Intervista ad un attivista dell’ICSS.

Dopo aver preso il controllo di una parte della città e aver attaccato una prigione, i militanti dell’ISIS sono stati respinti dall’esercito iracheno. Sono almeno 44 le persone morte all’interno della prigione, tutti detenuti secondo la legge antiterrorismo irachena. Il governo respinge l’accusa che i detenuti siano stati giustiziati dalle forze irachene, come invece sostiene l’ISIS.

Scontri armati sono stati registrati anche nel villaggio di Basheer, a sud di Kirkuk e quattro morti sono stati ritrovati in un quartiere di Baghdad in quello che ricorda le uccisioni settarie all’apice della guerra civile nel 2006-2007.

Secondo l’Agence France-Presse, alcuni militanti legati all’organizzazione al-Nusra e all’Esercito Siriano Libero hanno preso il controllo di al-Qaim, il passaggio di frontiera tra Iraq e Siria nel governatorato di al-Anbar.

Barack Obama ha deciso per l’invio di 275 militari nella capitale per difendere l’ambasciata americana mentre il primo ministro Nuri Al-Maliki continua ad incoraggiare l’arruolamento di volontari (prevalentemente sciiti) per combattere i militanti dell’ISIS.

Nel frattempo Mosul rimane nelle mani dell’ISIS. Proprio dall’interno della città, un attivista per i diritti umani (Q.C) ha raccontato all’organizzazione Iraqi Civil Society Initiative (ICSS), dietro condizione di anonimato, cosa sta succedendo nella città.

Qual è la situazione a Mosul?

(Q.C) Al momento non ci sono combattimenti in città e le strade sono libere. Mancano, però, beni e servizi primari: non c’è elettricità e l’acqua scarseggia, mancano benzina e i rifornimenti di gas. Non abbiamo accesso a Internet. Tutte le istituzioni di governo sono ferme ad accezione degli ospedali che continuano a lavorare.

Qual è il numero degli sfollati dopo gli scontri nella città?

(Q.C) Molte famiglie hanno lasciato la città per rifugiarsi in Kurdistan, si parla di circa 500 mila persone, tra cui molti bambini ed anziani. Le autorità curde chiedono però la presenza di un loro garante, una lettera d’invito, per permettere l’ingresso nella regione. Chi non riesce ad attraversare il confine con la regione curda rimane, invece, in semplici campi. La situazione degli sfollati si sta aggravando soprattutto dopo gli scontri nella città di Tal Afar, ad ovest di Mosul, da cui altre migliaia di civili sono scappati.

Per affrontare tutto ciò, serve una risposta rapida da parte delle organizzazioni umanitarie.

Ma è possibile per la società civile (organizzazioni non-governative e attivisti per i diritti umani) operare in città?

(Q.C) No, non è ancora possibile per le organizzazioni di società civile e nemmeno per gli attivisti per i diritti umani operare nella città. I gruppi armati, soprattutto quelli estremisti, non accettano il nostro lavoro e minacciano punizioni. Per ora quindi lavoriamo segretamente producendo report sulla situazione in città. A questo si aggiunge che la nostra libertà di operare è anche condizionata dal fatto che dobbiamo lavorare in accordo con il governo iracheno per evitare di essere accusati di appoggiare i ribelli.

Nonostante queste difficoltà, rafforzare il ruolo della società civile come ponte tra il governo e la società e rafforzare il ruolo delle comunità locali contribuirebbe ad una soluzione pacifica delle tensioni nel paese.

Chi sono i militanti che hanno preso Mosul e chi controlla la città oggi?

(Q.C) La città è stata presa da diversi gruppi armati, alcuni sono militanti dell’ISIS, altri sono ribelli nazionalisti, ex-Baathisti ed ex-militari. La situazione è molto confusa: diverse aree di Mosul città sono controllate da gruppi diversi. Ma non sappiamo quali siano le loro intenzioni. La stampa non può operare in città e le persone rimaste non sanno se ci sarà un attacco da parte dell’esercito iracheno per riconquistare Mosul o se, invece, rimarranno sotto controllo dei gruppi armati e, in tal caso, se si formerà un governo locale. Sembra, però, che sia stato nominato un nuovo governatore, Hashim Aljmas, un ex-ufficiale dell’esercito. Per ora non ci sono state rappresaglie o punizioni collettive.

Come è stata interpretata la caduta di Mosul nelle mani dei gruppi armati da parte della popolazione?

(Q.C) La principale ragione per la caduta di Mosul è stata l’incapacità del governo uscente e del primo ministro Al-Maliki di ascoltare le domande dei cittadini e di rispondere alle proteste che da oltre un anno si ripetono nei governatorati di al-Anbar, Salahaddin, e Diyala.

Il governo Al-Maliki ha adottato un approccio settario nei confronti delle province irachene e ha escluso la popolazione sunnita dalla gestione del paese. Persino l’esercito è stato formato sulla base di una logica settaria. L’esercito iracheno non è un esercito nazionale, non risponde al paese nella sua complessità, ma solo ad una parte di esso. Ha agito nei confronti della popolazione su base settaria e ha attaccato la popolazione sunnita nelle province di al-Anbar, Salahaddin e Diyala, come ad esempio nella città di Hawija nell’aprile 2013 quando l’esercito ha attaccato un campo di protesta causando diverse morti. Poi ci sono i racconti degli arresti, delle torture e anche delle violenze sulle donne dentro e fuori i centri penitenziari.

C’è una relazione tra quello che è successo a Mosul e gli ultimi risultati elettorali?

(Q.C) Le ultime elezioni hanno avuto risultati deludenti. Nonostante le molte accuse al governo di Al-Maliki, la sua coalizione è riuscita ad ottenere la maggioranza dei seggi. Alcuni politici e parte della popolazione hanno temuto un terzo mandato di Al-Maliki e un consolidamento del suo potere personale e dittatoriale. Nei precedenti mandati, Al-Maliki ha preso il controllo del paese e di molte delle sue istituzioni indipendenti, come la Commissione Elettorale e la Commissione per i Diritti Umani e ha accusato i suoi avversari politici di corruzione o terrorismo, oltre ad aver assicurato il controllo sciita sulle forze di sicurezza, che sono quindi dominate da un’ideologia settaria.

Credo che i gruppi armati abbiano pianificato la presa di Mosul dopo i risultati definitivi delle elezioni. Una tempistica eccellente per lanciare il messaggio che la loro offensiva è volta a liberare la popolazione sunnita da un terzo mandato di Al-Maliki e della sua politica settaria. Forse è proprio per questo che parte della popolazione ha accolto con favore l’offensiva in alcune parti delle province a maggioranza sunnita.

Quando l’ISIS è entrato a Mosul, la risposta dell’esercito iracheno è stata quasi inesistente anche, credo, per paura di una reazione da parte della comunità.

Sarebbe auspicabile che l’esercito iracheno liberi la città di Mosul dai gruppi armati?

(Q.C) Credo che la soluzione debba essere innanzitutto politica. L’esercito iracheno è sicuramente in grado di riprendere Mosul, in collaborazione con la popolazione locale. Ma questo implica avere un piano che salvaguardi la popolazione civile nella città. Un attacco aereo potrebbe essere catastrofico per la popolazione.

Quali sono le prospettive future per l’Iraq e quale sarà il ruolo degli Stati Uniti nel paese?

(Q.C) Credo che questo sia l’inizio della formazione di tre macro-regioni, sunnita, sciita e curda.

Molti politici oggi, dentro e fuori il paese, considerano questa la soluzione al conflitto politico e armato tra le diverse comunità irachene. Sembra che questa prospettiva sia condivisa anche dai gruppi armati, dal governo iracheno e dalle autorità curde. La popolazione irachena ha sempre preposto l’unità nazionale alle divisioni etniche, ma il governo degli ultimi otto anni e la prospettiva di un suo ulteriore mandato rendono impossibile accettare tale soluzione.

Credo che gli Stati Uniti giocheranno un ruolo fondamentale nel paese e che opteranno anche loro per una divisione in tre regioni. Gli Stati Uniti non interverranno necessariamente inviando truppe in Iraq, ma il loro ruolo sarà comunque decisivo.

La popolazione di Mosul vuole una soluzione alla crisi: un governo civile in città e la fine del controllo da parte dei gruppi armati. Allo stesso tempo, però, non vuole tornare ad essere sottoposta ad un governo di stampo settario come quello che abbiamo accettato fino ad ora.

*Ismaeel Dawood, Un ponte per…/ICSSI. L’articolo è stato pubblicato originariamente in inglese qui. Traduzione dell’intervista in italiano e introduzione sono a cura di Irene Costantini.

June 18, 2014di: Ismaeel Dawood*Iraq,Articoli Correlati:

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