Egitto. La manna dal cielo del petrolio mediterraneo

La questione energetica rappresenta la grande sfida per il colosso demografico egiziano, assediato da carenza di acqua ed energia. Per Al-Sisi la scoperta dell’enorme giacimento nel Mediterraneo orientale “Zohr” arriva come una manna dal cielo. Ma la convergenza di interessi riguarda anche l’Italia.

Come sa chiunque sia passato per il Cairo, i blackout sono una componente quotidiana nella vita di cittadini e imprese, soprattutto nei mesi estivi. Le inefficienze che questo comporta in termini di produttività economica sono facilmente intuibili.

Lo scorso settembre, il Presidente Abdel Fattah Al-Sisi ha rivolto un appello agli egiziani invocandone la “pazienza” dopo che un gigantesco blackout aveva lasciato per ore senza elettricità interi quartieri della capitale.

Per l’Egitto, che dal 2011 è tornato ad essere un net importer di idrocarburi, la dipendenza energetica è talmente assillante da aver costretto il generale a firmare onerosi contratti commerciali che comportano un deflusso di ingenti risorse finanziarie, non da ultimo l’accordo stipulato a Mosca nel Luglio 2015 con la società Rosneft sulla fornitura di gas liquido.

La crescita demografica e il progressivo aumento dei consumi interni dovranno inevitabilmente essere fronteggiati con una strategia di lungo termine basata sull’incremento dell’offerta di energia e quindi sulla diversificazione delle fonti.

Di conseguenza, si riaprono all’Europa vecchi scenari energetici: l’instabilità politica che ha seguito l’ondata delle “Rivoluzioni Arabe” ha ridestato l’interesse sopito di quegli attori internazionali che aspirano a beneficiare dei cambi di regime per sfruttare le vaste risorse del continente africano.

Come ha rilevato Alberto Negri, l’asse Nord-Sud, Africa e Mediterraneo, alternativo a quello Est-Ovest, ovvero alla Russia, “è quello dove corrono oggi non solo le ambizioni di una società ma anche quelle della sicurezza energetica europea”.

Per l’Italia in particolare, un net importer al pari dell’Egitto, la sicurezza energetica nel Mediterraneo rientra in quella sfera di interessi costantemente monitorata dai radar della diplomazia, che va intesa in senso lato, per inquadrare oltre alla linea ufficiale governativa anche quella “diplomazia parallela” prodotta da soggetti terzi come l’ENI.

Rispetto agli anni della gestazione, in cui il presidente Mattei mirava, in virtù del suo ruolo di new comer, a disintegrare la stabilità del cartello petrolifero mondiale, l’ENI costituisce oggi un interlocutore privilegiato per chi definisce le strategie geopolitiche continentali.

Secondo Negri, dire che l’ENI fa la politica estera italiana è un errore: “La multinazionale, prima azienda mondiale di tutta l’Africa per attività e investimenti, fa la politica di un intero continente, l’Europa”.

In attesa che vengano interrotte le sanzioni sull’Iran, la “diplomazia parallela” dell’ENI volge il suo sguardo a Sud, in direzione dell’Algeria e della Libia, dove l’impresa italiana è l’unica che prosegue l’attività di estrazione, e soprattutto verso l’Egitto, dove ha messo a segno un colpo storico, atteso per oltre 60 anni.

Non vi è dubbio alcuno che per Al-Sisi la scoperta dell’enorme giacimento nel Mediterraneo orientale, poi ribattezzato “Zohr”, arrivi come una manna dal cielo.

Le analisi di un anno fa dicevano anche che il problema numero uno dell’Egitto era l’economia e che il problema cardine dell’economia era rappresentato dall’energia: in caso di mancata soluzione al problema, al nuovo rais sarebbe toccata una sorte identica a quella dei suoi predecessori, Mubarak e Morsi.

Ad agosto 2015, appena cinque mesi dopo l’accordo di Sharm-el-Sheikh, in cui l’ENI ha deciso di investire 5 miliardi di dollari nell’esplorazione dell’offshore egiziano, l’Amministratore Delegato, Claudio Descalzi, consegna al Presidente Sisi la possibilità di sganciarsi nei decenni a venire da una dipendenza energetica asfissiante.

Secondo le prime stime il giacimento Zohr, nelle acque profonde del blocco El-Shorouk, contiene una quantità di gas naturale pari a 30 tfc (trilioni di piedi cubi). Se i dati venissero confermati, si tratterebbe -affermano gli esperti del settore- della scoperta più imponente nella storia del Mediterraneo.

Durante l’udienza informale al Senato in data 9 settembre, Descalzi ha riferito che Zohr presenta le caratteristiche ideali per un suo sfruttamento rapido ed economico: si estende per una lunghezza di 100 km2 ed ha uno spessore di 620 metri. Il blocco è un modello geologico calcareo dolomitizzato molto omogeneo, il che facilita il processo di estrazione. Il gas è di elevatissima qualità, senza CO2, zolfo né H2S e quindi senza necessità di complicati trattamenti purificatori.

Il gas biogenico fa sì che la temperatura sia bassa con grande vantaggi in termini di sicurezza del giacimento. Il gas infine si trova in prossimità di alcune facilities già presenti (10km da una piattaforma ENI). Spinto al suo massimo potenziale il bacino dovrebbe produrre 55 miliardi di m3/a (metri cubi/anno), soddisfacendo una buona percentuale del consumo interno egiziano, pari a 70/80 miliardi di m3/a. La presenza di due terminali, Damietta (50% di proprietà ENI tramite Union Gas Fenosa) e Yoruk, impone che la scelta più razionale sia quella di destinare la maggior parte del gas al mercato interno egiziano.

Pensare, tuttavia, che Zohr sia la miniera d’oro in grado di risolvere tutti i problemi dell’Egitto è una prospettiva alquanto inaccurata.

In primo luogo, la scoperta di un giacimento non garantisce per se la sua monetizzazione. Dal gennaio 2010 al gennaio 2015, ad esempio, l’ENI ha rinvenuto circa 18 tfc di gas, principalmente nelle aree offshore del Delta del Nilo, senza però produrre un singolo metro cubo di gas.

In secondo luogo, le reali capacità di assorbimento del mercato egiziano non hanno ancora margini ben definiti. L’Egitto è ancora un paese “feudale” nella mentalità e nelle istituzioni politico-economiche, sicuramente non maturo per un’industrializzazione di scala.

Nella parte termoelettrica, utilizza ancora olio combustibile per il 22% e avrebbe quindi bisogno di tempo per riconvertire a gas una parte del settore industriale e termoelettrico. Molto del successo futuro di Zohr dipenderà quindi dalla capacità del governo egiziano di mantenere stabile la situazione politica ed economica, oltre che naturalmente dall’andamento dei prezzi del petrolio.

Un terzo aspetto, anch’esso problematico, riguarda i tempi di sfruttamento del bacino. Malgrado le previsioni ottimiste del governo egiziano di portare a sfruttamento l’area già nel 2017, è altamente improbabile che una significativa produzione possa essere avviata prima del 2020, per poi svilupparsi progressivamente nei decenni successivi. Ancora per i prossimi anni, quindi, l’Egitto dovrà colmare l’attesa tra la scoperta e l’indipendenza energetica e lo farà comprando, a costi elevati, dai suoi fornitori più importanti, Russia e Algeria.

Per l’Italia la scoperta del giacimento, oltre a rinsaldare i rapporti, peraltro già ottimi, con l’amministrazione egiziana, potrebbe anche aprire nuovi orizzonti per quanto riguarda l’esportazione di gas naturale verso l’Europa.

All’indomani della scoperta, alcuni giornali italiani tra cui il Foglio e la Stampa, hanno parlato di un rafforzamento delle relazioni tra Cipro, Egitto ed Israele finalizzato alla creazione di un “hub” mediterraneo che permetterebbe di mettere a fattor comune le infrastrutture di trasporto e di export egiziane con le altre scoperte limitrofe dell’area.

Una prospettiva allettante per l’ENI che potrebbe concertare un’intesa con Israele, Cipro e le majors americane del petrolio, sfoderando le sue ampie leve diplomatiche.

Accrescendo la sinergia tra le tre Economic Exclusive Area di Egitto, Israele e Cipro si potrebbe giungere alla creazione di un network di interessi alternativo a quelli che attraversano aree di crisi endemica, Stati falliti o paesi a noi “ostili”.

Si avrebbe, cioè, un’area ricchissima di fonti energetiche gestita da paesi legati all’Occidente e con relazioni amichevoli fra loro.

La quantità di gas sarebbe sufficiente a giustificare la realizzazione di progetti ambiziosi come la costruzione di una pipeline sottomarina verso l’Italia via Creta oppure l’installazione di un impianto di liquefazione di gas naturale a Cipro.

Al momento, l’approvvigionamento energetico italiano è legato alle forniture dalla Russia e dal Nord Africa, ostacolate dalle guerre civili in Ucraina e Libia. La diversificazione dei canali di approvvigionamento energetico rappresenta pertanto l’unica strada percorribile.

In tal senso, la convergenza di interessi fra Renzi, Al-Sisi e Netanyahu sull’energia, consolidata dalle intese con Grecia e Cipro, suggerisce la possibile genesi di un gruppo di paesi del Mediterraneo dotati di alta tecnologia e risorse naturali, dunque capaci di dare vita ad un polo energetico alternativo ai colossi di Mosca e del Golfo. Consegnando al Mediterraneo un imprevisto ruolo di protagonista di una formula alternativa di sviluppo economico.

December 05, 2015di: Leonardo Giansanti Egitto,Iran,Israele,Libia,

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