Amore e “rock-chaabi” nel nuovo album dei Temenik Electric

Si chiama “Inch’Allah Baby” il secondo lavoro dei Temenic Electric, band dalle origini algerine e marsigliesi, che mischia i suoni del deserto con un pop rock futurista occidentale. Abbiamo intervistato il leader della band Mehdi Haddjeri.

Il disco è uscito il 20 novembre, appena una settimana dopo gli attentati terroristici di Parigi. Con il cosiddetto “mondo arabo” nel mirino dei media e la Francia blindata, per i Temenik non è stato facile tener fede alla tabella di marcia.

Ma non si sono arresi, in quanto musicisti innanzitutto (ricordiamo che uno degli attacchi più sanguinosi è avvenuto proprio durante un concerto rock, presso la sala del Bataclan), e in quanto da sempre portatori di un messaggio di unità e condivisione:

“Pochi giorni dopo gli attentati eravamo già nella capitale per una session promozionale – racconta a Osservatorio Iraq il leader e vocalist della band, Mehdi Haddjeri –. In questo particolare clima, tutti i nostri interlocutori, dai media, ai professionisti, ai fan, ci hanno incoraggiato a difendere il nostro progetto, che ora ha acquistato ancora più senso. Sul palco, il nostro slogan è diventato: ci incontriamo, ci riuniamo e resistiamo”.

Nessun passo indietro neppure nella scelta del titolo: “C’era già Achtung Baby, c’era Hasta la Vista Baby… Ci siamo detti che l’anello mancante al giorno d’oggi non poteva che essere Inch’Allah Baby! Battute a parte, si tratta di un titolo che riassume la doppia influenza del gruppo e la vocazione internazionale della nostra musica”.

Già balzati all’attenzione europea con il primo album – intitolato Ouesh Hada?Inch’Allah Baby è un ulteriore tassello verso il loro sogno di “arrivare al più vasto pubblico possibile”. Questo nonostante i testi di nove tracce su dieci siano in arabo, e la scelta è voluta.

“Semplicemente, l’arabo si sposa molto bene con il rock. Come l’inglese, è una lingua che non bisogna necessariamente capire, ma che ha una bella musicalità” spiega Mehdi, che non ha mai nascosto di essere cresciuto con la passione per musicisti come gli U2, Bob Dylan e Ben Harper.

Mentre la riscoperta delle sue origini algerine è avvenuta piuttosto tardi, grazie ad un viaggio a Beni-Abbes nel 2010.

Il contatto con la terra dei suoi genitori è stata come una seconda folgorazione, che ha infine portato a quella fusione di rock elettronico e percussioni ancestrali, quel mix tra Chaabi (la musica popolare nordafricana) e pop moderno, che è un po’ il marchio di fabbrica della band.

E quindi capita che le darbouke facciano da sfondo alle chitarre distorte, che cori e ipnotici assoli di ney (il flauto arabo) si fondano con il suono del sintetizzatore, in un’armonia tra antico e moderno che in questo secondo lavoro si fa più matura.

Niente di strano che dietro ci sia lo zampino di Tim Oliver e di Justin Adams, quest’ultimo chitarrista e collaboratore di Robert Plant, con il pallino per la musica del Nord Africa, che ha portato all’attenzione internazionale gruppi come i pluripremiati Tinariwen e il loro folk-blues dall’anima berbera.

Il mixaggio dell’album, avvenuto in Inghilterra nel prestigioso studio Real World di Peter Gabriel, ha contribuito a “rendere il suono più efficace e coerente”, senza alterarne il cuore pulsante.

Il risultato è un disco in cui i riff del rock e la trance elettronica collidono nella musica popolare araba del Maghreb che, “tra emozioni e incanti, richiama l’urgenza di un invito alla danza”. Nonostante i tempi cupi, una doppia radice che per loro continua ad essere un arricchimento e mai un fardello.

“Inch’Allah Baby parla solo d’amore, ma oggi è il contesto che trasforma la nostra musica in una causa” spiegano.

Come nel video del loro primo singolo – intitolato “Denia, denia” – in cui i simboli e i doppi riferimenti alla cultura occidentale e orientale si rincorrono e ammiccano dallo schermo: da “Fast and Fissa” a “Stairway to Hammam” fino a “Moudjahidine Circus”, sono solo alcuni degli insoliti accostamenti presenti nel clip. Una critica ad entrambe le società?

“Al contrario, è la prova di un linguaggio comune – si affretta a chiarire Mehdi – Denia significa Il Mondo, e nel video la combinazione di quelle parole crea la speranza di un moderno Esperanto, così come di un collegamento tra il Nord e il Sud. Riflettono il mondo in cui viviamo: la sua oppressione, le sue contraddizioni, la sua complessità”.

Caratteristiche che gli immigrati di seconda, terza generazione in Francia e in Europa – come Mehdi e la sua band – conoscono bene.

Sanno che molti giovani oggi vivono in un clima di risentimento verso un paese che finge di integrarli, tra scelte geopolitiche discutibili e confini che si chiudono; sperimentano in prima persona che ad ogni tragedia la sfiducia reciproca tra cittadini di una stessa nazione ma di origini diverse si allarga, così come i venti di razzismo, nelle istituzioni, in rete e tra la gente.

“Effettivamente c’è una recrudescenza di questo odio efferato, specie con l’arrivo dei migranti in Europa, quell’Europa che in materia di accoglienza e integrazione riproduce gli stessi errori del passato” commenta ancora Mehdi, che però non si dà per vinto: “Oggi più che mai, la cultura, l’istruzione e la trasmissione dei valori diventano ancora più essenziali per aumentare la consapevolezza e per vivere insieme”.

Banco di prova è proprio la sua Marsiglia: “La città ha un posto speciale in Francia e in Europa. Attraverso la sua storia di migrazione è diventata un punto di congiunzione, una sorta di città-laboratorio dell’incontro tra Oriente e Occidente. Qui, quando si parla di identità, è spesso una nozione al plurale”.

Così, in questo quadro a tinte chiaro-scure, la musica può fungere da antidoto, per Mehdi, così come per i suoi compagni Djamel Taouacht (batteria), Hassan Tighidet (chitarre), Jérôme Bernaudon (basso) e Mathieu Hours (samples). Ogni componente dei Temenik Electric ci mette del suo.

“Siamo nati dalla musica popolare araba e siamo cresciuti come adolescenti con il rock e il pop britannico. Tanto nella musica rock che in quella del Maghreb, ritroviamo questa sensazione di urgenza e la dimensione popolare che rivendichiamo nei Temenik Electric” spiegano.

“Vorremmo che il nostro nuovo disco toccasse un pubblico che di suo non s’interesserebbe ad un disco di rock arabo. Inch’Allah Baby è un album che s’iscrive nel genere pop internazionale (nel senso migliore del termine), e vorremmo fosse in grado di andare in radio così come sul palco e dappertutto. Ovviamente anche in Italia… Inch’Allah, baby”.

Album: Inch’Allah Baby
Artista: Temenik Electric (temenikelectric.com)
Data di uscita: 20 Novembre 2015
Label: BLUE LINE / PIAS Digital

Foto ©Patrick Gherdoussi

December 22, 2015di: Anna ToroAlgeria,Video:

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