Alle origini delle “primavere arabe”. L’agricoltura, un fattore ignorato dal post-rivoluzione

Un numero speciale della rivista Maghreb-Machrek sottolinea il ruolo avuto dalle “crisi agrarie” negli avvenimenti politici di questi ultimi anni, scarsamente considerate dai governi attuali. A torto.

La ruralità, le campagne, in una parola il “bled” sono spariti ormai da troppo tempo dai radar dell’attualità araba. Per questo ci fa piacere che un numero speciale della rivista Maghreb-Machrek sia dedicato all’agricoltura della regione, “alle origini della crisi alimentare e delle rivoluzioni arabe”.

Sei diversi studi prendono in esame cinque paesi (Algeria, Marocco, Tunisia, Libano e Siria) e mostrano il ruolo essenziale che il contesto agrario gioca ancora oggi nell’economia, nell’impiego, nell’alimentazione e nei livelli di vita di decine di milioni di abitanti dell’area.

Nella prefazione (in allegato il testo completo), che introduce la prima parte di questo importante lavoro, Alia Gana, direttrice di ricerca al Cnrs, illustra lo scenario:

La crisi alimentare mondiale del 2008, le rivolte della fame a cui ha dato luogo in numerosi paesi, e più recentemente le “sollevazioni arabe”, hanno messo in evidenza la vulnerabilità di paesi importatori di prodotti agricoli davanti allo shock legato alla congiuntura internazionale.

Se l’esplosione sociale e popolare nel “mondo arabo” è stata guidata essenzialmente dalle aspirazioni alla democrazia e alla giustizia sociale, è importante sottolineare che si è innescata in un contesto di generale deterioramento delle condizioni di vita e del potere d’acquisto delle famiglie, aggravata in proporzione non indifferente dall’innalzamento dei prezzi dei beni alimentari a livello mondiale.

Nella maggior parte dei paesi interessati, e in particolare in Algeria, Marocco, Tunisia, Egitto e Giordania, l’impatto di queste impennate, che ha raggiunto livelli record nel gennaio 2011, è stato addirittura tanto forte che il deficit alimentare non ha smesso di aggravarsi, tanto che una gran parte della spesa delle famiglie (dal 35% ad oltre il 40%) è ancora oggi dedicata all’alimentazione.

Contribuendo alla cristallizzazione del movimento di contestazione sociale e politico che ha condotto alla caduta dei regimi in Tunisia e in Egitto, e che ha imposto ad altri governi (Algeria, Marocco) di determinare importanti riduzioni nei prezzi dei prodotti di base per contenere il malcontento sociale, la questione alimentare ha assunto senza dubbio una dimensione politica di primo piano nei paesi della regione.

Lo shock congiunturale intervenuto sui mercati globali delle materie prime, compreso quelle agricole, non avrebbe avuto tuttavia un tale impatto se non avesse trovato terreno fertile, minato dalla profonda e antica crisi della ruralità araba.

Gli articoli presentati nella prima parte del dossier analizzano le dinamiche storico-sociali, politiche ed economiche che sono all’origine della crisi profonda del mondo rurale e agricolo nella maggior parte dei paesi arabi. Sottolineano in particolare gli stretti legami tra questa crisi e alcune strategie di sviluppo che hanno relegato l’agricoltura in secondo piano rispetto ad altre priorità, assegnandole il ruolo di rinforzare i legami delle economie nazionali con il processo di globalizzazione.

Nel suo studio sulla Tunisia, Alia Gana mostra che le “origini agricole” della rivoluzione tunisina sono profonde. Non si tratta solamente di una reazione a caldo di una regione all’indifferenza del regime di Ben Ali rispetto alle campagne e ai territori periferici del paese; ma del lento aggravarsi delle disuguaglianze sociali tra le città e le campagne, tra le regioni costiere e quelle dell’entroterra. La questione, in passato, aveva già provocato forti movimenti di protesta e numerose mobilitazioni da parte delle vittime di questa crisi agricola. Le loro rivendicazioni riguardavano e riguardano tuttora l’accesso alle risorse da parte dei più poveri, di chi non ha né terra né lavoro. Queste persone reclamano la redistribuzione delle terre di proprietà dello Stato, che consistono spesso in vaste aree requisite sotto il dominio coloniale, su cui fanno valere diritti di proprietà doppiamente negati, prima dalla Francia, poi dalla Repubblica tunisina.

Un’altra questione riguarda l’accesso e la gestione delle risorse idriche, indispensabile per l’irrigazione delle terre, che le categorie più svantaggiate vorrebbero ottenere gratuitamente e in maniera prioritaria rispetto alle zone urbane o costiere, più privilegiate. L’atteggiamento delle nuove autorità davanti a queste rivendicazioni è sorprendentemente conservatore: né il governo ad interim di Béji Caid Essebsi, da marzo a ottobre 2011, né quello della Troika guidato da Ennahda, in seguito, hanno rimesso in discussione le vecchie politiche:

Dopo l’arrivo al potere dei partiti islamisti, i governi hanno lanciato segnali contraddittori (…). La privatizzazione della gestione delle terre demaniali è lontana dall’essere rimessa in discussione (…). La confisca delle terre (…) sembra avere l’obiettivo di aumentare i margini di manovra del governo per applicare i suoi orientamenti di politica agricola, in favore di una liberalizzazione ancora più spinta, e soprattutto nell’interesse dei suoi alleati [stranieri].

Soprattutto, chi è al potere oggi come ieri rifiuta di lasciare che gli attori dell’agricoltura tunisina si organizzino liberamente:

Partecipando a questa logica di controllo delle organizzazioni agricole, le nuove autorità pubbliche non sembrano vedere di buon occhio l’emergere di un pluralismo sindacale in questo settore (…). L’Utap (Unione tunisina dell’Agricoltura e della Pesca), organizzazione compromessa con le autorità negli anni seguiti all’indipendenza e sovvenzionata dallo Stato, ha nuovamente ricevuto il via libera dal nuovo governo (…). Questo movimento, mirato a rinforzare il controllo dell’amministrazione sulle organizzazioni professionali, mostra la mancanza di attenzione manifestata dai poteri attuali alla volontà e al bisogno di riforme espressi dai differenti gruppi di agricoltori.

Questa atteggiamento di ottusità e chiusura, se dovesse prolungarsi, porterà certamente nuove tensioni e nuovi conflitti, in un futuro forse neanche troppo lontano.

Il focus “primavere alimentari” continua con l’approfondimento “Marocco. Nel Souss tra serre, contadini e diritti negati” .

*Traduzione a cura di Cecilia Dalla Negra. Per la versione originale dell’articolo clicca qui.

** Per accedere al sito della rivista Maghreb-Machrek clicca qui.

November 27, 2013di: Jean-Pierre Séréni per Orient XXI*Allegati: PDF iconIntroduzione Primavere alimentari – rivista Maghreb-Machrek.pdfAlgeria,Egitto,Giordania,Libano,Marocco,Tunisia,

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