Afghanistan. Il sogno della laurea, tra le spire di un sistema corrotto

Anche quest’anno in Afghanistan è scoppiata puntuale la polemica sugli esami di ammissione all’università, i “kankor” (parola che significa “ingresso”), diventati ormai uno dei tanti simboli della corruzione imperante che regna nel paese.

Sono sempre di più i giovani afghani che, dopo il diploma di scuola superiore, vogliono accedere all’università. La maggior parte di loro, però, si trova la porta sbarrata proprio all’ingresso, a causa del kankor, il famigerato test di ammissione che, oltre ad avere un meccanismo perverso e discutibile, ogni anno porta con sé accuse di malagestione, frodi, imbrogli e corruzione.

I casi ormai non si contano più: l’ultimo arriva da Herat, dove i test che dovevano tenersi a metà febbraio sono stati annullati all’ultimo minuto, perché i fogli con le domande sono trapelati prima del tempo. Così, i quasi 17.000 studenti provenienti da tutto il paese – più della metà erano ragazze – che avrebbero dovuto sedersi sui banchi e affrontare la prova, sono rimasti a bocca asciutta.

L’imbroglio è stato scoperto dalla delegazione di controllo istituita dal Mohe, il Ministero dell’Istruzione Superiore, che ha confermato ai media afghani l’arresto del principale imputato, un docente, e di 42 studenti, complici nella fuga di notizie (oltre che la promessa della ripetizione del kankor).

Ancora, solo sei settimane prima migliaia di esami d’ingresso tenutisi nella provincia di Logar sono stati dichiarati nulli da un’altra commissione ministeriale, che ha accusato alcuni membri del consiglio provinciale di aver distribuito telefoni cellulari ad alcuni studenti in modo che potessero chiamare e chiedere aiuto durante l’esame. “Il sistema dei test d’ingresso è stato colpito dalla politica e dev’essere cambiato” aveva denunciato Taj Mohammad Akbar, docente di Economia all’Università di Kabul, al giornale Afghan Zariza.

Ancora più clamoroso l’episodio, sempre a Logar, sempre del dicembre 2013 in cui la delegazione avrebbe letteralmente gettato in un canale tutti i fogli degli esami appena effettuati nella sede di Pul-e Alam.

Lotfullah Safi, capo della delegazione e docente presso la facoltà di Scienze Ambientali dell’Università di Kabul, in seguito ha giustificato questo gesto con la rabbia dei delegati contro i “funzionari locali e gli uomini di potere” che avrebbero interferito nel kankor e minacciato la delegazione di controllo.

Cosa, questa, tutt’altro che rara, come riporta anche la lunga e interessante analisi sul tema presente sull’Afghanistan Analysts Network (AAN), che spiega tra le altre cose come, in realtà, la creazione della commissione ministeriale di controllo sia piuttosto recente (novembre 2013), proprio sulla scia delle forti proteste studentesche seguite ai kankor dello scorso anno.

Nel marzo del 2013, infatti, migliaia di studenti afghani sono scesi in piazza a protestare contro le frodi ai test e la debolezza da parte del governo nel perseguire i responsabili di imbrogli, tangenti e intimidazioni.

Il Mohe ha risposto istituendo la Commissione di supporto agli esami kankor, composta da circa 300 membri, tra cui direttori di università e membri docenti del sindacato delle università: essa ha il compito di supervisionare gli esami, collaborare con i funzionari locali e annullare i risultati nei casi che lo richiedono.

D’altronde, le cronache da tempo parlano di prove e documenti secondo cui alcuni studenti avrebbero pagato per avere le domande in anticipo, così come la stessa possibilità di accedere alle selezioni pur non avendo nemmeno il diploma di scuola superiore. Ad alcuni è stato dato da compilare il test dell’anno prima, e molti si sono comprati direttamente l’ingresso o hanno ricevuto l’aiutino da persone influenti (situazioni, in realtà, ben note anche qui in Italia, guerra o non guerra).

Cosa ancora più grave, esistono rapporti dettagliati su come spesso le ammissioni alle facoltà e ai corsi sarebbero state decise in anticipo dalle autorità provinciali, o dai signori della guerra locali, e perfino dai potenti trafficanti di droga che controllano determinate zone.

Insomma, un circolo vizioso che collega l’insicurezza generale presente tutt’oggi nel paese allo stato di corruzione che investe tutti i livelli della società e che in questo caso colpisce in modo grave quello che dovrebbe fungere da motore di ripartenza e ricostruzione di una nazione che cerca di uscire da oltre trent’anni di conflitto: l’istruzione, di cui tra l’altro la giovanissima popolazione afghana è sempre più affamata.

Ecco perché gli studenti chiedono la riforma dell’intero sistema, a partire dalle selezioni d’ingresso, che sono le stesse per tutti.

UNIVERSITA’ AL COLLASSO

Le prove, che si svolgono in genere da metà dicembre a fine febbraio, sono preparate con contenuti provenienti da tutte le materie scientifiche e artistiche insegnate a scuola, (e anche qui le critiche sono numerose, in particolare per la qualità delle domande e la loro utilità per le valutazioni).

Durante gli esami, gli studenti indicano prima di tutto i cinque corsi da loro preferiti in ordfine di priorità, dopodiché passano alle domande. Le risposte vengono poi valutate con l’ausilio di un programma informatico che indica i punteggi di massima: secondo le stime riportate dal quotidiano Outlook Afghanistan, su 150.000 studenti che ogni anno si cimentano nella prova, solo circa il 30 per cento riesce a ottenere un punteggio sufficiente per poter frequentare un corso.

Le facoltà nelle aree urbane richiedono in genere un punteggio più alto, perché ritenute migliori e più attrezzate, e in teoria chi totalizza un voto alto può accedere automaticamente a uno dei corsi scelti, a seconda della disponibilità di posti.

Per chi fallisce, invece, non resta che rinunciare e riprovare l’anno dopo, o entrare nei poco appetibili corsi di diploma biennali a pagamento, o ancora entrare in un università privata: contando lo scarso background familiare della maggior parte degli studenti, sono in pochissimi a poterselo permettere.

L’aspetto più paradossale del sistema dei kankor, però non è questo: “Se uno studente – scrive ancora l’Outlook Afghanistan – ha la passione per la medicina e vuole diventare un medico, ma non riesce a raggiungere i punteggi degli esami necessari per il campo, dovrà studiare belle arti, se suggerito dai calcoli del ministero”.

E poi c’è il devastante impatto economico e sociale: se, dato il limitato numero di università in tutto il paese (le università statali sono 19, già pesantemente sovraffollate, e si prevede, per ogni anno, un numero sempre maggiore di aspiranti matricole), più di 100.000 studenti ogni anno rimangono privati del loro diritto di continuare l’istruzione superiore, essi saranno costretti a cercare un lavoro a bassa retribuzione, o peggio, ad imbracciare le armi, come temono alcuni analisti.

Ecco perché una riforma del sistema diventa ogni anno sempre più urgente. Alla conferenza stampa del 20 febbraio, a cui erano presenti i rappresentanti dei paesi donatori, le ong, l’ambasciata americana e la Banca Mondiale, il ministro dell’Istruzione superiore Obaidullah Obaid ha detto che, per ammettere alle università gli studenti bocciati ai test di ammissione, il suo ministero avrebbe bisogno di circa 24 milioni dollari.

Una cifra che, secondo il ministro, consentirebbe di aumentare la capacità delle università esistenti e di istituirne delle nuove, nell’ambito di una nuova politica dell’istruzione superiore che prevede, tra le altre cose, l’abbassamento delle rette, e l’accesso gratuito ai diplomi universitari per gli studenti meritevoli.

Ma data la prassi sulla gestione dei fondi internazionali, purtroppo, sono in molti a scommettere che buona parte di quella cifra potrebbe finire dappertutto fuorché in una riforma seria e strutturale dell’intero sistema universitario e nel suo implemento logistico.

[immagine Wikimedia Commons, di Ben Barber, USAID]

March 05, 2014di: Anna ToroAfghanistan,Articoli Correlati:

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