Tunisia. La ‘sfida’ salafita secondo l’ICG

Un rapporto del think tank ICG studia il panorama dell’estremismo religioso tunisino e analizza il contesto in cui è maturato. Per evitare la spirale repressione-radicalizzazione, e intervenire sulle cause socio-economiche che lo alimentano.

di Andrea Ranelletti

A metà febbraio, all’indomani dell’uccisione di Chokri Belaid e degli sconvolgimenti innescati dall’omicidio del leader di sinistra – i cui esecutori sembra vadano ascritti al panorama dell’estremismo religioso – il think tank International Crisis Group (ICG) ha pubblicato un rapporto dal titolo ‘Tunisie: violences et défi salafiste’ (il testo completo in francese è in allegato).

Obiettivo dell’inchiesta recensire la galassia salafita e indagare il contesto sociale e politico in cui è maturato il fenomeno, evitando di fornire resoconti appiattiti sulla necessità della condanna e della repressione “a tutti i costi” dell’Islam radicale.

Lo studio cerca di comprendere il peso delle varie anime all’interno di un movimento eterogeneo e poco permeabile, prendendo in esame l’incidenza delle sue forme di espressione violenta e le relazioni intrattenute con il partito islamico (Ennahda) al governo, e indicando le possibili vie per un re-inquadramento di questi gruppi all’interno della società democratica.

Sin dai mesi successivi alla caduta di Ben Ali, è cresciuto in Tunisia il seguito, l’esposizione mediatica e il timore nei confronti del fenomeno detto ‘salafita’, perseguitato sotto il regime come ogni altra compagine dell’Islam politico.

Spesso utilizzato impropriamente, con significato corrispondente a quello di ‘estremista religioso’, il termine ‘salafita’ raccoglie invece una molteplice quantità di sfumature: la sua accezione richiama “una visione letterale, rigorista e puritana dell’Islam” volta a riprendere “l’esempio dei pii antenati (salaf al-salih)”.

Da sottolineare la formazione del partito Ettahrir e del Jibhat al-Islah (Fronte della Riforma) che fanno appello al Califfato e alla Shari’a come unica fonte di inquadramento politico e sociale, la presenza dei predicatori negli spazi pubblici e dei giovani ‘barbuti’ nelle facoltà, e infine il fiorire delle associazioni – alcune riconosciute ufficialmente, altre in attesa di legalizzazione – “per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio”.

Gli esperti dell’International Crisis Group rilevano subito l’esistenza di due correnti nel salafismo moderno – ben differenti dal ‘riformismo illuminato’, il primo salafismo emerso in Egitto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento – riscontrabili anche nel contesto tunisino.

Una corrente definita “scientifica”, volta all’impegno teologico, allo studio dei testi sacri e tendenzialmente pacifica; un’altra legata all’immaginario “jihadista” – alimentato dal mito della resistenza islamica in Palestina, Cecenia, Iraq – attiva nel panorama nazionale e connessa alle reti di reclutamento trans-nazionali.

Il fenomeno della violenza salafita esiste, ne sono una testimonianza gli attacchi registrati negli ultimi mesi all’ambasciata americana a Tunisi, ad alcuni luoghi espositivi, musei e centri culturali.

Esiste d’altro canto – sottolinea il rapporto – una diffusa tendenza all’allarmismo, spinto dal timore della deriva estremista oppure dal semplice opportunismo politico.

Secondo l’ICG “l’opposizione secolarista (…) formula accuse talvolta ingiustificate” e mostra “difficoltà ad accettare il fatto che siano gli islamisti a governare il paese”.

A destare preoccupazione, conviene l’ICG, è soprattutto la presenza di “piccoli gruppi armati” che, in un clima di crescente instabilità, sembrano approfittare della grande circolazione di armi e del via vai di combattenti volontari in Medio Oriente, specie nella Siria dilaniata dalla guerra civile.

Privi di un’effettiva coordinazione centrale questi nuclei agiscono con grande indipendenza e imprevedibilità, non sono esenti dalla strumentalizzazione esterna e approfittano di occasionali collegamenti per congiungersi e dar vita ad atti eclatanti, prosegue il documento.

In un simile contesto – ricorda il rapporto – Ennahda è costretta a muoversi in un terreno scivoloso e ambiguo, presa tra la necessità di mostrare una certa intransigenza istituzionale verso chi minaccia i fondamenti dello Stato e quella di dover scendere a patti con una parte dell’elettorato che preme per una maggiore islamizzazione della società.

Del resto lo stesso partito di Ghannouchi, sul piano ideologico, ha evidenziato nel primo anno e mezzo di governo le sue contraddizioni interne: su tutte la presenza di un’ala moderata, pragmatica ed essenzialmente “politica”, spesso in contrasto con quella radicale portata a tollerare, se non a giustificare, anche le manifestazioni più estremiste.

Ennahda si troverebbe perciò intrappolata in un dilemma: cedere alla fazione oltranzista, “più religiosa”, precludendosi così la possibilità di un dialogo politico con le altre forze e aumentando il livello dello scontro; oppure muoversi secondo i dettami del pragmatismo, correndo il rischio di perdere parte della base e rafforzare gli attori più conservatori, tra cui il movimento salafita.

Altro elemento su cui si sofferma a lungo il testo dell’ICG, necessario per comprendere l’evoluzione del salafismo – che conta per il momento non oltre 50 mila seguaci su una popolazione di 10 milioni di abitanti -, è l’incidenza dell’aumento della povertà e della marginalizzazione socio-economica.

I militanti salafiti acquistano consenso anche grazie alle reti assistenziali che hanno sviluppato in un paese dove la crisi e la mancanza di investimenti sono andate ad aggravare un sistema di welfare già in sé insufficiente.

L’attenzione alla dimensione caritatevole è un tratto che accomuna tutti i gruppi salafiti (e islamisti in generale) attivi nel Maghreb e nel Medio Oriente e che, secondo il report, consente a questi gruppi di mettere radici all’interno dell’economia informale delle aree maggiormente disagiate.

Il think tank conclude il proprio rapporto indirizzando alcune raccomandazioni.

Al governo e all’Assemblea Costituente consiglia la costituzione di una rete di solidarietà, utile a non perdere il controllo di quelle aree del paese in cui la povertà e la disillusione sono più radicate.

Prioritaria è anche la definizione di un programma di reinserimento scolastico e professionale per i giovani e il sostegno alle attività associative e culturali.

Ennahda, invece, dovrà impegnarsi nella promozione di un approccio alla religione che comprenda al proprio interno “l’eredità genetica del movimento riformista tunisino, orientato verso le sfide del mondo moderno”.

Non è quindi né dalla demonizzazione, né dalla repressione gratuita che dovrà passare la risposta all’estremismo religioso.

La spirale repressiva – secondo le valutazioni dell’ICG – non farebbe che incentivare la spinta alla radicalizzazione.

Una migliore comprensione delle pressioni e delle richieste sociali che stanno dietro all’apparizione del fenomeno, la disgiunzione del circuito marginalità-criminalità-fondamentalismo e la cooptazione all’interno della legalità istituzionale, è la via indicata per neutralizzarne la minaccia e ridurne la portata.

19 marzo 2013

Allegati: PDF iconTunisie-violences-et-defi-salafiste_ICG.pdfTunisia,

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