Libia. Un paese al bivio

Alla soglia del rush finale per la creazione di un governo di unità nazionale che garantisca stabilità in Libia, i governi rivali di Tobruk e Tripoli sembrano aver raggiunto un consenso sulle ultime modifiche apportate al testo dell’accordo, che dovrebbe essere ratificato dai due Parlamenti entro il 20 settembre.

In attesa degli ultimi sviluppi, vi proponiamo questa intervista ad Hélène Bravin, giornalista francese e ricercatrice associata presso l’IPSE (Istituto Prospettive e Sicurezza in Europa), autrice del libro “Kadhafi, vie et mort d’un dictateur” (Éditions Bourin, 2011). Bravin è specializzata da molti anni sui temi del Maghreb e scrive per diverse testate, tra cui l’Huffington Post, il Cahiers de l’Orient e la Rassegna di Difesa Nazionale (RDN).

A suo parere, qual è l’eredità lasciata da 42 anni di regime di Gheddafi in Libia dopo la rivoluzione del 2011?

La prima grande eredità è sicuramente il petrolio. Dal momento del suo insediamento Gheddafi ha restituito il petrolio ai libici e, con l’aiuto dell’Algeria, ha messo fine ai rapporti economici con il cartello delle “sorelle”, la sua prima rivolta contro gli interessi anglo-americani.

Inoltre ha consentito un aumento dei prezzi del petrolio all’interno dell’OPEC, che l’organizzazione non era in grado di raggiungere da sola. La Conferenza di Teheran del 1971 si rese necessaria perché le compagnie petrolifere straniere trovassero un accordo con i produttori OPEC rispetto all’adeguamento tra i prezzi libici e quelli praticati nei paesi del Golfo.

A livello politico, Gheddafi ha cercato di coinvolgere le tribù nel sistema politico. Il quadro politico definito da Gheddafi come “democrazia diretta”, aveva come scopo quello di superare le tribù che, tuttavia, dovevano restare il fondamento della società. Permise loro di partecipare a livello consultivo, dalla base ai vertici, attraverso diversi organi. Inoltre al Congresso Nazionale Generale (CGN) erano rappresentate tutte le tribù, consentendo di preservare l’unità del paese.

Attraverso questi organi Gheddafi ha tentato di creare una nazione in cui le tribù dovevano collocarsi su un piano inferiore rispetto a quest’ultima. E’ complesso costruire una nazione in una società tribale, ovvero divisa in clan, così come erano tutte le società del periodo post-coloniale.

La società libica si è mantenuta musulmana, tradizionale e conservatrice, nonostante il tentativo degli islamisti di modificare tale status. Gheddafi era alla guida di una caccia feroce nei confronti degli islamisti, che intendevano strumentalizzare la religione per fini politici e jihadisti, permettendo così ai libici di resistere a questa strumentalizzazione.

Sul piano amministrativo, Gheddafi ha rotto con le strutture stabilite dalla Monarchia sulla base della localizzazione delle tribù e le ha sostituite con governatorati, comuni e distretti. Infine, ha provveduto ad organizzare la Libia sul piano militare. Il leader libico ha anche creato delle industrie che, tuttavia, non sono riuscite a generare la redditività desiderata, creando dei veri e propri abissi finanziari. Ma queste industrie esistono e devono essere in grado di generare reddito, che è il punto cruciale del problema. Sono state create delle infrastrutture tra cui il fiume artificiale, che oggi permette ai libici di beneficiare dell’acqua, ma che è stato a lungo oggetto di controversie a causa del drenaggio delle falde sotterranee…

Inoltre, Gheddafi ha introdotto le riforme in materia di divorzio ed ha modificato lo status della donna che è stata coinvolta nelle questioni economiche. Ha permesso alla Libia di preservare la sua indipendenza nei confronti dei blocchi occidentale ed orientale e degli stessi paesi arabi.

Sono soprattutto gli ultimi dieci anni ad aver particolarmente colpito i libici. Già a metà degli anni Novanta Gheddafi aveva iniziato il ritorno, seppur timido, alla privatizzazione dell’economia – insieme alla destrutturazione dei Comitati rivoluzionari repressivi. Intorno agli anni 2000, seppur incontrando molte difficoltà a causa del sistema social-comunista trentennale, ha promosso una maggiore liberalizzazione dell’economia, fornendo un nuovo orientamento alla società. Queste riforme ricevono anche l’incoraggiamento del Fondo Monetario Internazionale.

Gheddafi ha cercato di gestire questa apertura economica in modo graduale, per evitare uno shock dovuto ad un cambiamento economico brutale. Queste riforme hanno dato una nuova speranza ai libici per la costruzione di una nuova società.

L’ideologia social-comunista di Gheddafi cessa di esistere all’inizio degli anni Duemila. Nell’intento di modernizzarsi, la Libia incontra molte difficoltà, tra cui la pesante eredità del passato, le forti resistenze al cambiamento, la paura di un aumento della disuguaglianza sociale, della personalizzazione del potere e forti discussioni familiari con alcuni dei figli del dittatore. In quegli anni vengono costruite delle nuove infrastrutture, inserite all’interno dei progetti di modernizzazione del paese. Questo dimostra come Gheddafi, negli ultimi anni, abbia cercato di rimediare ai suoi errori del passato.Un’impresa imponente.

La Libia era anche riuscita ad avere una grande influenza nel continente africano, stabilendo diverse partnership, nonostante la riluttanza di alcuni paesi della regione.

Quali crede siano stati i principali effetti dell’intervento internazionale?

L’intervento occidentale ha rotto questo slancio di riforme che si stava attuando dopo anni di embargo. I discorsi di Gheddafi e Saif Islam sono stati male interpretati. “I fiumi porpora di sangue” erano riferiti a noi occidentali, per metterci in guardia contro gli islamisti e i radicali. I “Gheddafiani”, coloro che hanno sostenuto il leader tribale e non il sistema in via di riforma, si sono anzitutto mobilitati contro Al Qaeda e gli islamisti.

L’intervento è stato realizzato al di fuori delle norme internazionali e non ha permesso la destrutturazione delle tribù, che si sono rinforzate dopo il conflitto. E’ vero che la colpa di Gheddafi è stata quella di voler creare, per un certo periodo, una Nazione basata sulla repressione identitaria e di non aver voluto instillare degli elementi di democrazia nel sistema, che avrebbero permesso un’evoluzione e quindi di affrontare il potere delle tribù. Ciononostante l’intervento occidentale non ha permesso di andare al di là di ciò che era in corso e che era frutto di un lungo processo.

Il sistema è ora completamente destrutturato, in rovina.

Per citare solo alcuni elementi di una lista estremamente lunga: le tribù sono in conflitto tra loro e lo Stato, il cui funzionamento era già difficile, è oggi completamente inesistente. La già radicata corruzione secolare è in piena espansione. Non ci sono più autorità militari né di polizia. L’intervento ha aperto la strada alla formazione di milizie – delle gang già esistenti sotto Gheddafi – oggi in continua crescita numerica, nelle quali vengono reclutati i giovani senza lavoro; la disoccupazione, già molto alta sotto il regime di Gheddafi, è in netto aumento e i giovani sono le nuove reclute di Daesh.

Le compagnie estere che sono state minacciate hanno lasciato il paese, la produzione petrolifera è al minimo e tutti i progetti delle infrastrutture si sono arrestati. Le istituzioni statali si sono scisse: una legittima, l’altra illegittima. Il bilancio statale è agli sgoccioli. E’ stato instaurato il caos. Gli islamisti ed Al Qaeda, tenuti sotto controllo durante il regime di Gheddafi, sono risorti. All’interno della Libia oggi sono presenti tutte le declinazioni islamiste, dai Fratelli Musulmani, ad Al Qaeda, Al Qaeda nel Maghreb Islamico (proveniente dal Mali) e Daesh. I confini non sono controllati, anche l’Africa nera, dove Gheddafi ha avuto una grande influenza, oggi è destabilizzata. La forza lavoro straniera impiegata in Libia è disorientata, e la lista è ancora lunga…

Dopo le elezioni del 2012, il Congresso Nazionale Generale di Tripoli ha controllato il paese fino alla fine del 2014, dopo aver prorogato il suo mandato, inizialmente di 18 mesi, per un ulteriore anno. Nel giugno 2014, dopo che il generale Haftar ha lanciato l’”Operazione dignità”, il CNG ha chiesto nuove elezioni. Gli islamisti sono stati sconfitti ma hanno rifiutato i risultati delle elezioni, costringendo i nuovi membri eletti del Consiglio a lasciare la capitale per la città orientale di Tobruk. Che tipo di legittimità ha il governo di Tripoli?

Il governo di Tripoli non ha alcuna legittimità. Non è riconosciuto dalla Comunità Internazionale. Non ha rispettato la democrazia né la voce del popolo, che è il cursore principale di ogni regime democratico.

Come valuta l’accordo di pace firmato a Skhirat il 12 luglio? Perché il governo di Tripoli ha abbandonato il tavolo dei negoziati? Crede che un accordo di riconciliazione sia possibile nonostante l’assenza del CNG?

C’è stata una forte convergenza di punti di vista tra l’ONU e Tobruk. Il ruolo degli islamisti è stato decisamente ridimensionato in considerazione degli scarsi risultati raggiunti nel luglio 2012. L’esercito nazionale in via di formazione è stato riconosciuto, anche se Haftar non è stato nominato. Il Parlamento è l’unico ad avere poteri legislativi. Tripoli ha rifiutato tutto questo.

Oggi Tripoli è sola e deve decidere se aderire o meno all’accordo di Skhirat. Se questo non avverrà, il suo governo sarà considerato terrorista. Misurata deve svolgere il proprio ruolo e considerare i guadagni che potrebbe trarre da una riconciliazione con Tobruk per la formazione di un governo di unità nazionale in grado di combattere Daesh che continua a crescere sul dorso del dissenso.

In seguito ai recenti attacchi terroristici, i cui responsabili sono suscettibili di essere stati addestrati in Libia, sono state attuate delle politiche di sicurezza appropriate? Cosa sta facendo il governo di Tripoli per contrastare la crescente minaccia di Daesh nel paese?

Tripoli, da sola, non ha i mezzi per combattere il terrorismo e soprattutto Daesh. Ci sono molte cellule dormienti che piano piano si risveglieranno. Daesh ha già conquistato la seconda centrale elettrica in Libia, i cui lavori di modernizzazione sono stati completati nel 2011. Tripoli non ha potuto fare nulla. Daesh ha ucciso quasi 180 persone a Sirte, Tripoli non ha potuto fare nulla e neanche il generale Haftar. Successivamente sarà il turno di acqua epetrolio. La Libia deve costituire un esercito nazionale solido ed organizzato, al di là delle discordie. L’urgenza è questa. Il tempo sta per scadere,mentre Daesh continua a reclutare i libici, così come i tunisini, gli algerini… che vengono addestrati sul territorio libico.

La Libia oggi si trova ad un bivio. O i libici reagiscono in modo tale che il futuro possa essere roseo per loro e per i paesi vicini, oppure affonderanno e si lasceranno inghiottire e distruggere dalla subdola strategia di Daesh, che ha un vero e proprio progetto di conquista della Libia.

September 20, 2015di: Lamia Ledrisi Libia,Articoli Correlati:

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