Libano. L’irrinunciabile dignità dell’essere

Ghida Anani è una giovane donna libanese che si batte per la parità di genere. Ma lo fa a partire dagli uomini. Perché, se è vero che i ¾ delle donne in Libano denunciano di aver subito violenza in famiglia, è con loro che bisogna parlare.

Ghida Anani è una giovane donna libanese di 28 anni. Da otto è impegnata a promuovere i diritti delle donne. E’ convinta che affrontare e risolvere il problema della violenza domestica e del femminicidio sia una delle pietre angolari per il reale sviluppo di qualunque paese.

Quest’anno per il suo straordinario impegno e per la costante determinazione nel portare avanti i suoi principi le è stato conferito il riconoscimento mondiale “Women leadership Achievement Award” per la categoria “giovani femministe”.

L’esperienza professionale di Ghida inizia con il Lebanese Council to Resist Violence against Women, ma è con l’organizzazion “Kafa”, di cui è co-fondatrice, che il suo percorso per la rivendicazione dei diritti delle donne prende una piega decisiva.

L’impatto con le vittime di violenza, con le quali passa la maggior parte del suo tempo, sarà determinante nel definire il suo approccio verso le problematiche di genere e la sua agenda futura per il conseguimento di maggiori diritti e garanzie per il genere femminile.

Organizza tavole rotonde, convegni e workshop sulla violenza domestica. Comincia a parlarne pubblicamente sfidando e denunciando apertamente quel sistema di omertà che autorizza a tacere.

A scegliere il silenzio non sono solo le vittime ma le stesse famiglie di appartenenza che giocano un ruolo fondamentale nel celare la verità, trascinando le proprie figlie sulla via dell’omissione.

Perché in Libano una donna che denuncia le violenze subite dal marito copre di vergogna ogni membro del suo stesso sangue. Una donna che denuncia il marito spesso viene rifiutata dalla sua stessa famiglia.

Per Ghida questo è il primo meccanismo malato da superare.

Perché le donne possano sentirsi libere di dichiarare le violenze subite, serve un sistema di protezione. E allora mostra come il paese in termini di servizi alla persona non sia pronto a prendersi cura delle vittime di violenza.

A partire dalla prima assistenza medica al pronto soccorso, al supporto piscologico e successivamente alla protezione in un luogo sicuro. Ma è sul fronte legale che devono concretizzarsi i veri cambiamenti.

Se non esiste un sistema di assistenza, offerto non solo dalle associazioni, ma dallo stesso Stato, quanto donne avranno il coraggio di denunciare la violenza vissuta sulla propria pelle se poi saranno poi costrette a tornare a casa, il luogo per eccellenza dove si perpetua la violenza maritale? E quante morti ingiustificate verranno ancora taciute?

L’impatto è forte e i quotidiani nazionali iniziano a riportare, prima timidamente, poi con maggiore convinzione, i decessi per femminicidio. E’ un processo lento ma le notizie da brevi trafiletti passano ad occupare le prime pagine e, in alcuni casi, sono le stesse famiglie a denunciare i fatti.

Ma Ghida non vuole che la battaglia per i diritti delle donne sia una prerogativa esclusivamente femminile e nei suoi interventi pubblici chiede il supporto e il coinvolgimento della componente maschile, esorta il governo a prendere posizione.

Se, stando ai numeri, i 3/4 della popolazione femminile libanese ha subito almeno una volta nella vita violenza da parte del marito o di un familiare, è con e gli uomini che bisogna parlare e lavorare. In troppi non sono disposti ad accettare la parità fra i sessi. Tanti la difendono pubblicamente ma poi a casa agiscono in un’altra maniera.

Così Ghida nel 2011 avvia un progetto all’avanguardia: fonda il primo e unico centro del Medio Oriente e del Nord Africa dedicato alla riabilitazione di uomini che hanno abusato e compiuto violenze verso le donne.

Contemporaneamente crea tre centri di accoglienza per donne abusate dove possono portare anche i figli. Insieme alle organizzazioni libanesi di settore si impegna a presentare all’assetto istituzionale una proposta di legge che finalmente sia in grado di tutelare i diritti delle donne.

Dopo un’attesa di oltre 4 anni, la legge è stata recentemente approvata.

Ma è una vittoria a metà, poiché il testo approvato ha subito numerose modifiche, la più importante delle quali è la cancellazione del reato di stupro coniugale. Sono invece riconosciuti i crimini di omicidio, percosse, lesioni o minacce verbali.

Per le attiviste e le organizzazioni che hanno lavorato alla stesura della proposta di legge sono troppi i cambiamenti apportati, a cominciare dal titolo, che assume un carattere più generico facendo riferimento alla “violenza contro la famiglia”. C’è ancora molto da fare ma, se prima eravamo solo all’inizio, adesso siamo a metà strada, dicono. E da qui ripartiremo per far si che in futuro venga definitivamente inserito il reato di stupro coniugale.

Oggi Ghida è la direttrice di “Abaad”, un’organizzazione impegnata per l’uguaglianza di genere, che lo scorso dicembre ha lanciato una campagna contro il matrimonio e la gravidanza precoce.

Da gennaio di quest’anno il video di animazione “Il matrimonio non è un gioco” sarà proiettato nei centri di accoglienza per i rifugiati siriani, nelle scuole formali e informali, nei dispensari, e Ghida spera anche in televisione.

Negli ultimi due anni il suo impegno si è rivolto anche verso le rifugiate siriane, anch’esse vittime di violenza su più fronti.

Consapevole della complessa struttura confessionale che caratterizza il suo paese, in una recente conferenza pubblica ha dichiarato quale sarà il suo passo successivo: coinvolgere i rappresentanti delle varie comunità religiose per confrontarsi con loro in tavole rotonde. Molto poco potrà cambiare in Libano senza l’apporto degli uomini di religione.

*Un grazie particolare a Monica Ferrari per i suoi spunti

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