L’Egitto e la “guerra contro il terrorismo” a Gaza

Il rovesciamento di Mohamed Morsi ha avuto importanti conseguenze sulla Striscia di Gaza e sui suoi dirigenti. Da alleato privilegiato Hamas è divenuto, dall’oggi al domani, l’obiettivo da abbattere.

La strategia dell’esercito egiziano consiste nel soffocare economicamente il movimento della resistenza islamica e sostenere politicamente i suoi avversari. Malgrado la distruzione dei tunnel, la politica dei generali egiziani non sembra radicalmente differente da quella sostenuta all’epoca da Hosni Mubarak, che cercava di evitare che il crollo di Hamas pesasse sulla stabilità dell’Egitto.

Dopo la caduta di Mohamed Morsi il 3 luglio 2013, i dirigenti di Hamas si sono adoperati per negare qualsiasi ingerenza negli affari interni dell’Egitto, ricordando il dovere degli egiziani di assicurare le condizioni necessarie alla loro sicurezza e preservare i loro interessi nazionali. Quegli stessi dirigenti però avevano dichiarato ufficialmente che il rovesciamento del presidente Morsi costituiva per loro un colpo di Stato militare.

Di fronte a queste affermazioni contradditorie, il generale Abdel Fatah al-Sissi ha scelto di dare un colpo duro al movimento islamista palestinese. La distruzione della quasi totalità dei tunnel che legano il territorio palestinese all’Egitto, la chiusura del valico di Rafah e il divieto formale di spostamento verso l’Egitto di tutti i dirigenti di Hamas sono misure che hanno testimoniato la ferma volontà di indebolire e rovesciare l’attuale governo di Gaza.

Soffocando oltre1 milione e 700mila abitanti, I militari egiziani si aspettavano che la popolazione di Gaza si sarebbe rivoltata contro i suoi dirigenti. In questa battaglia, il generale al-Sissi ha sostenuto anche gli avversari politici di Hamas, e non ha escluso la possibilità di un intervento militare limitato alla Striscia di Gaza nel caso di un’evoluzione della situazione interna su questo territorio che minacciasse la sicurezza dell’Egitto.

Questa strategia ricorda quella degli anni 2006-2007 quando, in seguito alla vittoria elettorale di Hamas, i membri del Quartetto (Stati Uniti, Russia, UE e Nazioni Unite) avevano imposto un embargo nella speranza che lo strangolamento economico potesse portare ad un crollo politico della leadership.

La presa del potere a Gaza nel giugno 2007 da parte di Hamas è stata la conseguenza del tentativo di putsch operato da Fatah, che si stava già preparando nella capitale egiziana.

Collaborazione con al-Qaeda

Mentre uno degli obiettivi di Morsi era stato quello di convincere gli Stati Uniti di ritirare Hamas dalla loro lista nera delle organizzazioni terroristiche, è ormai l’intero movimento della Fratellanza Musulmana stesso ad essere stato definito tale dal nuovo governo egiziano.

Identificato con i Fratelli dal momento che appartiene alla stessa famiglia ideologica, Hamas ha subito la stessa sorte. Il 9 dicembre 2013, Mahmoud Al-Zahar ha dichiarato che le relazioni tra Hamas e l’Egitto erano rotte. Questo stesso dirigente si era difeso nel corso di un’intervista accordata al giornale egiziano Al-Watan affermando che nessun membro di Hamas era mai stato coinvolto negli affari interni egiziani.

L’esercito egiziano accusa esplicitamente il movimento islamista palestinese di sostenere i militanti legati ad Al-Qaeda, ritenuti colpevoli di alcuni attentati al Cairo e in altre città, e in particolare dell’attacco dell’8 luglio 2013 nel Sinai.

Alcuni dirigenti di Hamas sarebbero allora stati incarcerati nelle prigioni del Cairo (1). Questa tesi è stata sostenuta da più dirigenti di Fatah, come Yasser Abd Al-Rabbo, che rimproverava ad Hamas di sostenere i jihadisti nel Sinai. Il presidente Mahmoud Abbas avrebbe allo stesso modo fornito all’Egitto un certo numero di documenti provanti la colpevolezza di Hamas.

Verificare la veridicità di queste accuse è complesso. Si può tuttavia sottolineare che la “guerra” dichiarata contro Hamas permette all’esercito egiziano di re-inscrivere la sua lotta contro i Fratelli Musulmani in Egitto in una prospettiva regionale, allo scopo di ottenere maggiore credibilità.

Mettendo avanti la “collaborazione” tra il movimento in Egitto e Hamas, l’esercito tenta anche di agitare lo spettro di una pericolosa cospirazione islamista, vale a dire “terrorista”.

Strangolare l’economia

Nel 2007 Hamas era riuscito ad eludere il blocco imposto da Israele e dall’Egitto grazie al sistema dei tunnel di contrabbando. L’amministrazione egiziana all’epoca ne tollerava la presenza per evitare una crisi umanitaria.

Questo commercio sotterraneo permetteva di far fronte a circa l’80% delle necessità della popolazione di Gaza, e costituiva per Hamas una importante fonte di guadagno grazie al prelevamento delle tasse (2).

La volontà di distruggere in modo sistematico questi tunnel non risale al luglio del 2013. Si è manifestata già in passato in diversi periodi, ed è stata accelerata con il rovesciamento di Hosni Mubarak: una prima ondata di distruzione ha avuto infatti luogo nell’estate del 2012 (3), e una seconda all’inizio del 2013 attraverso il loro inondamento intenzionale. L’esercito accusava infatti Morsi di favorire Gaza a detrimento degli interessi egiziani, raccomandando misure punitive nei confronti di Hamas.

La differenza a partire dall’estate del 2013 ha a che fare con l’ampiezza del fenomeno, dal momento che circa il 90% dei 1.200 tunnel esistenti sono stati distrutti. Secondo il ministro dell’Economia Ala Al-Rafati, la chiusura dei tunnel dopo il mese di luglio avrebbe fatto perdere oltre 230 milioni di dollari ad Hamas, che sarebbe sull’orlo del fallimento.

Tuttavia, sembra che al di là di questo aumento delle distruzioni, un certo realismo prevalga: la strategia è quella di soffocare Hamas senza tuttavia provocare una crisi umanitaria nella Striscia. Pur scegliendo di distruggere la maggior parte dei tunnel, i militari egiziani avrebbero recentemente chiuso gli occhi sul trasferimento di importanti quantità d’argento in direzione di Gaza (…).

Tentativi di putsch

Oltre alla distruzione della grande maggioranza dei tunnel, l’Egitto si è avvicinato agli avversari politici di Hamas.

Non è una pratica nuova: si inscrive nel prolungamento di una tradizione politica dell’esercito egiziano, che ha tentato di favorire Fatah a svantaggio di Hamas.

Nel giugno 2007, la presa del potere a Gaza da parte di Hamas è apparsa come una risposta al tentativo di putsch che si stava preparando al Cairo a vantaggio di Fatah. Questo spiega anche perché numerosi dirigenti di Hamas considerano quegli avvenimenti come una “seconda liberazione”, dopo quella dell’evacuazione delle colonie ad opera dell’esercito israeliano nel 2005, e preferiscano l’appellativo di hassem (letteralmente “prendere misure radicali in un momento decisivo”) a quella di inqilab (“colpo di Stato”) per ricordare quell’episodio.

Nel novembre 2007 il movimento pubblicava infatti un libro bianco (al-kitâb al-abyad) dal titolo particolarmente esplicito: “Nessun’altra scelta, se non la forza”.

Questa convergenza tra Fatah e l’Egitto è stata denunciata da Hamas anche durante l’operazione “Piombo Fuso” (dicembre 2008-gennaio 2009). Il presidente palestinese Mahmoud Abbas, che era stato messo al corrente dell’attacco contro Gaza, fu allora presentato come alleato di Israele e dell’Egitto. Hamas inoltre denunciò la presenza di Tzipi Livni (4) al Cairo qualche ora prima del lancio dell’operazione. Secondo Fawzi Barhoum, portavoce del movimento, è a partire dall’incontro tra Hosni Mubarak e il ministro israeliano che prese forma la minaccia di distruzione di Hamas (5).

Ci sono state altre occasioni in cui Fatah ha tentato di porre fine al dominio di Hamas sulla Striscia. Il 15 marzo 2011, nel corso della mobilitazione popolare che chiedeva “la fine delle divisioni” (inha al-inqisam), Fatah approfittò della congiuntura politica per trasformare le manifestazioni in contestazioni dirette essenzialmente contro Hamas.

Nonostante il primo ministro Ismail Haniyeh avesse dato l’autorizzazione per una manifestazione su piazza del Milite ignoto, i manifestanti si spostarono verso piazza Katiba, muniti di bandiere di Fatah, provocando la collera dei dirigenti di Hamas e la repressione del movimento con la forza.

Fatah ha visto una nuova opportunità di rafforzarsi in Egitto da quando il Cairo ha reso più che mai manifesta la sua animosità contro Hamas.

Una prima mobilitazione del movimento di ribellione palestinese – chiamato Tamarrod sul modello dell’omonimo egiziano – era prevista a Gaza per l’11 novembre 2013, data dell’anniversario della morte di Yasser Arafat, ma è stata alla fine annullata. Secondo il portavoce del movimento, che ha negato qualsiasi implicazione dell’intelligence egiziana o dell’Autorità di Ramallah (6), avrebbero preferito rinviare la manifestazione per evitare un bagno di sangue.

D’altronde per Hamas, l’assenza di manifestazioni in quella giornata è stata la dimostrazione che a Gaza non esiste un vero movimento di contestazione, piuttosto un’operazione orchestrata dei servizi di intelligence arabi ed europei. Un “complotto” contro la resistenza.

I membri del Tamarrod palestinese hanno fatto appello ad una nuova mobilitazione per il 21 marzo 2014. Recentemente, le forze di polizia di Gaza così come le brigate Al-Qassam hanno sfilato per le strade della Striscia, lanciando un segnale forte per mostrare la determinazione di Hamas nel rispondere con la forza a qualsiasi aggressione verso il suo potere.

1) Il portavoce di Hamas, Abou Zouhri, ha negato la presenza di membri di Hamas nelle prigioni egiziane (Centro palestinese di informazione, 4 settembre 2013).

2) Secondo Nicolas Pelham, queste tasse rappresenterebbero circa il 20% del valore di mercato (“Diario da Gaza”, London Review of Books, vol.31 n.20, 22 ottobre 2009).

3) L’attentato al posto di frontiera di Kerem Shalom del 5 agosto 2012 ha provocato la chiusura temporanea dei tunnel e del valico di Rafah. L’esercito egiziano ha accusato i membri di Hamas di aver partecipato a questo attacco.

4) All’epoca ministro degli Esteri e vice-primo ministro del governo israeliano.

5) Falastin al-Muslima, gennaio 2010.

6) Ahmad Assaf, portavoce di Fatah, ha negato ugualmente qualsiasi implicazione di Fatah. Si veda Al-Masry al-Youm dell’11 novembre.

*La traduzione è a cura di Cecilia Dalla Negra. La versione originale dell’articolo, pubblicato su l’Orient XXI, è disponibile qui.

February 05, 2014di: Leila Seurat per Orient XXI*Egitto,Israele,Palestina,Articoli Correlati:

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