Iraq. Il saccheggio della culla dell’umanità

A 12 anni dall’occupazione americana, il millenario patrimonio artistico-culturale dell’Iraq è di nuovo sotto attacco. Ma alla distruzione di Daesh fa seguito una buona notizia in arrivo da Baghdad, con la decisione di riaprire il museo nazionale.

Dopo dodici anni di occupazione americana e politiche settarie, l’Iraq continua ad essere in pericolo. Non solo dal punto di vista umano, con oltre 2 milioni di sfollati interni e decine di migliaia di vittime causate dall’avanzata di Daesh, l’autoproclamatosi “Stato islamico”. E’ anche il millenario patrimonio artistico-culturale di cui il territorio iracheno è antico custode a subire perdite pesantissime.

Da quando ha conquistato circa un terzo del paese, Daesh ha colpito il popolo iracheno anche in modo subdolo. Ha scelto, infatti, di ferire la sua identità là dove ha radici più profonde ed autentiche.

I video di Daesh e le notizie diffuse dai media rivelano una sistematica campagna di distruzione i cui bersagli principali sono statue e reperti dall’inestimabile valore, così come gli importanti siti archeologici di Nimrud, rasa al suolo lo scorso 5 marzo da bulldozer, e Hatra, danneggiata irrimediabilmente il giorno successivo.

Che sia per una dimostrazione di coerenza ideologica da parte del Califfato, pronto a cancellare ogni traccia di un passato pre-islamico ed idolatra, o un modo efficace per autofinanziarsi, attraverso la vendita dei manufatti al mercato nero, poco importa.

Il risultato è che la culla dell’umanità continua ad essere saccheggiata, privata della sua storia e quindi di quel modello di sincretismo che per secoli ha suggellato l’incontro di civiltà diverse.

Nell’Iraq settentrionale, la città santuario di Hatra, con i suoi templi e la sua costruzione architettonica, era un esempio della suggestiva unione stilistica, riflesso di una contaminazione culturale riuscita, tra il mondo mediterraneo e quello mesopotamico orientale.

Eppure l’indignazione per le recenti azioni non dovrebbe essere qualcosa di nuovo. La cultura dell’Iraq, infatti, è già stata violata in passato, anche da coloro che oggi condannano con ostentazione la barbarie compiuta dall’Isis. Come mostra il documentario di Al Jazeera “Shattered heritage”, gli interventi americani del 1991 e del 2003 si sono ben presto trasformati in una ghiotta occasione per sottrarre antichi cimeli a musei e biblioteche, così da finire nelle mani di collezionisti senza scrupoli.

“É l’Occidente ad essere colpevole” ha dichiarato Roberta Venco Ricciardi, archeologa di fama internazionale ed esperta conoscitrice del patrimonio archeologico dell’Iraq, che abbiamo raggiunto telefonicamente.

Con una nota di tristezza nella voce continua: “É cominciato tutto in modo disorganizzato, poi il mercato nero ha assunto dimensioni vastissime, i committenti sono quasi sempre occidentali. E non si tratta solo di tavolette o piccoli reperti ma persino di statue fatte a pezzi per essere trasportate. Chissà poi per essere esposte dove…”.

L’Iraq degli anni Novanta e Duemila è un paese distrutto – sono 120 le tonnellate di esplosivo utilizzate solo durante la prima guerra del Golfo – messo in ginocchio dall’embargo e dall’immediata svalutazione della moneta, tutte condizioni inconciliabili con lo sviluppo di un fervido ambiente culturale. Molti artisti ed intellettuali sono stati costretti a lasciare la loro casa e a rifugiarsi in Europa o nei paesi vicini.

Nel 2003 le motivazioni ufficiali dichiarate da Bush Jr per intervenire in Iraq sembrano non avere nulla a che fare con gli interessi economici americani, ciò che si vuole sconfiggere è il regime di Saddam Hussein, la presunta presenza di armi di distruzione di massa e la minaccia di un loro utilizzo. A farne le spese, oltre la sua popolazione e la sua organizzazione sociale, è la sua identità culturale che viene annientata progressivamente, in un processo che contininua ancora oggi.

I siti archeologici di Babilonia e Ur diventano basi militari per carri armati ed elicotteri, il Museo nazionale di Baghdad e quello di arte moderna sono oggetto di razzia indiscriminata, le strade di Baghdad si ritrovano mutilate dello loro statue e sia la Biblioteca nazionale che l’archivio del Ministero degli Esteri si trasformano in scheletri pieni di cenere.

L’occupazione militare americana e dei suoi alleati ha reso il popolo iracheno vulnerabile nell’adempiere al suo più antico compito: essere custode dell’archivio storico dell’umanità. Gli attacchi al patrimonio artistico-culturale dell’Iraq compiuti dallo Stato Islamico sono solo gli ultimi in ordine temporale.

“Forse si vuole annullare la storia pregressa e costruire una nuova civiltà, pura, ma è solo un’ipotesi come lo sono le molte che da giorni circolano in rete e nei media”, afferma Ricciardi, cercando di ricostruire possibili spiegazioni sull’accanimento contro la cultura irachena.

“La verità è che nessuno sa bene il perché di questi atti. Ciò che è certo, recentemente, è il danno incalcolabile causato dalla distruzione delle statue del Museo di Mosul. Purtroppo la maggior parte di esse sono vere. Il video diffuso sul web lo dimostra, i falsi sono pochi e lo si capisce da come cadono a terra”.

Sulle reali motivazioni delle azioni di Daesh, “non so se sia semplice propaganda o meno ma lo Stato Islamico ha scelto di colpire l’Iraq poiché esso rappresenta qualcosa di molto importante per l’Occidente. Oltre a siti di importanza storico-archeologica, i bersagli scelti sono state le moschee della provincia di Ninive, ad esempio, o la Biblioteca di Mosul.”

“Quest’ultimo episodio ricorda molto da vicino quanto successo nel 2003 con la Biblioteca nazionale di Baghdad, incendiata nell’aprile di quell’anno. Ricordo ancora le parole dell’allora Direttore generale degli Archivi di Francia, in missione in Iraq per l’Unesco, che mi disse ‘Un popolo senza memoria non può vivere’”.

Tuttavia, in una simile situazione di distruzione, una buona notizia è rappresentata dalla riapertura del Museo nazionale di Baghdad, avvenuta con una cerimonia ufficiale presenziata dal primo Ministro Haydar Al-Habadi lo scorso 28 febbraio.

“La riapertura del museo ha sicuramente un valore simbolico per tutto il popolo iracheno. Lo scempio e la razzia compiute nel 2003 sono state vissute con profondo dolore dalla popolazione, che è molto legata al museo e alla storia che esso rappresenta”.

“Per il futuro – continua Ricciardi – non esiste una soluzione univoca in grado di prevenire futuri furti o danneggiamenti ma consiglierei di compiere una documentazione completa di tutto ciò che è presente al suo interno. Ovviamente ci troviamo di fronte ad un lavoro imponente e saranno necessari alcuni anni per poterlo realizzare del tutto”.

L’annichilimento culturale di un popolo significa debolezza e permette a chi detiene il potere di controllarlo, manipolarlo facilmente. Fortunatamente né le guerre né lo scempio di Daesh sono riusciti a piegare il fervore che ancora anima il popolo iracheno. Sono molti i progetti nati dopo il 2003 per recuperare il patrimonio artistico-culturale presente nel paese, tra questi quelli promossi dall’associazione Un ponte per…, dedicati al restauro e alla conservazione di testi nonché alla creazione del primo archivio digitale nazionale all’interno della Biblioteca di Baghdad.

Accanto a queste iniziative, che continuano ancora oggi con corsi di formazione sulla digitalizzazione e la conservazione dei manoscritti, un segnale forte arriva proprio dalla capitale con la recente decisione di riaprire il Museo nazionale.

Per molti è una risposta agli attacchi di Daesh ma esprime soprattutto la volontà di riscatto degli iracheni che non vogliono cedere alla facile tentazione dell’oblio.

* Nella foto il ponte Dalal, a Zakho, città a nord-ovest dell’Iraq, nell’omonimo distretto della regione del Kurdistan, risalente al 1000 A.C. Foto di Stefano Nanni.

March 22, 2015di: Claudia Gifuni Iraq,Articoli Correlati:

Gestione cookie