Gli EAU in Libia e la “guerra per procura”

Il 17 e il 23 agosto nella capitale libica c’è stato un bombardamento aereo di cui, secondo gli ultimi resoconti dei media, sarebbero responsabili gli Emirati Arabi Uniti. Perchè un coinvolgimento del genere tra due paesi distanti tra loro oltre 4000 chilometri?

Se gli americani affermano di essere stati colti totalmente di sorpresa dall’iniziativa degli Emirati, la notizia del raid è partita proprio da fonti diplomatiche Usa, che chiamano in causa anche l’Egitto: gli attacchi, infatti, sarebbero stati lanciati da una base militare vicino a Siwa, un’oasi nel deserto vicino al confine egiziano con la Libia.

Obiettivo principale: le milizie islamiste radicali che da tempo, fin dalla caduta di Gheddafi, sono in lotta contro i cosiddetti liberali e moderati per il controllo politico della nazione. L’ultimo bombardamento, infatti, è avvenuto durante uno scontro per la conquista dell’aeroporto di Tripoli (poi finito comunque nelle mani degli islamisti).

La notizia, in realtà, non è stata confermata dalle due nazioni coinvolte, scatenando così le speculazioni degli analisti: il fatto che gli Emirati Arabi Uniti – una delle economie più forti del mondo arabo e apparentemente una delle poche isole di tranquillità in quella regione tumultuosa – si siano impegnati in operazioni militari al di fuori dei loro confini è stato visto infatti come un punto di svolta nella confusa polveriera mediorientale di questi ultimi anni, in cui lo scontro politico con i gruppi estremisti si fa sempre più cruento, andando ben al di là del territorio libico.

IL QATAR NEL MIRINO

Sullo sfondo di questi ultimi avvenimenti, infatti, ci sarebbe lo scontro di lunga data tra i paesi del Golfo e il Qatar, a causa del sostegno di quest’ultimo ai Fratelli Musulmani e ad altri gruppi militari di stampo salafita. Supporto che all’inizio di quest’anno ha portato Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Bahrain a ritirare i propri ambasciatori da Doha e a lanciare diversi ultimatum intimando il paese a tagliare i legami con la Fratellanza.

La lotta di Abu Dhabi e Riad contro i Fratelli Musulmani va avanti anche sul fronte interno, con un inasprimento delle proprie leggi antiterrorismo e un controllo sempre più opprimente di internet e social media. Nel caso degli Emirati non si può non citare il clamoroso maxi-processo contro i presunti affiliati alla rete islamista al-Islah, più volte condannato dai sostenitori per i diritti umani per abusi e mancato rispetto degli standard internazionali.

In realtà, è da molto tempo che gli Emirati non sono più quell’isola di pace e benessere di cui continuano tutt’oggi a vantarsi: con l’Iran a due passi che minaccia rappresaglie in caso di attacchi militari da parte di Stati Uniti e Israele, anche Abu Dhabi ha cominciato una poderosa corsa agli armamenti, diventando nel 2012 il quarto più grande importatore di armi al mondo, con acquisti provenienti principalmente da Stati Uniti, Regno Unito e Francia.

Proprio nel recente bombardamento in Libia sarebbero stati usati aerei da guerra di fabbricazione francese Mirage 2000 e bombe presumibilmente di fabbricazione americana, che hanno ucciso almeno 18 miliziani libici. Un tipo di equipaggiamento che gli Emirati conoscono bene, dato che fanno farte del loro arsenale che conta 138 aerei, alcuni dei quali erano stati forniti dal regno alla Nato proprio per l’attacco del 2011 che ha portato alla caduta del regime di Gheddafi.

Anche allora, mentre l’alleanza internazionale bombardava il regime, il Qatar non si limitava al sostegno dei Fratelli in Egitto, ma avrebbe continuato ad armarsi a sua volta e a fornire finanziamenti e supporto a gruppi islamici di quel paese e di varie parti del mondo (non che l’Arabia Saudita sia estranea a questa pratica).

Ecco perché, secondo molti analisti internazionali, il recente attacco in Libia da parte degli Emirati, se confermato, potrebbe leggersi più che altro come un messaggio diretto a Doha.

LA LIBIA NEL CAOS.

La Libia, infatti, è quasi una riproduzione in piccolo dello scontro relativo all’islam politico che sta infiammando tutta la regione mediorientale.

Dalla caduta di Gheddafi è in corso una guerra tribale tra le milizie e le fazioni per il controllo delle forze politiche sul territorio, che si è intensificata ulteriormente dopo le ultime elezioni legislative di giugno, il cui esito non è stato riconosciuto dai filo-islamisti al potere in precedenza.

In seguito agli scontri che ne sono seguiti, il Parlamento eletto a giugno, di matrice più liberale – chiamato anche Camera dei rappresentanti – aveva deciso di spostare la propria sede da Tripoli a Tobruk, mentre il precedente governo del cosiddetto Congresso Nazionale Generale (Cng) è rimasto nella capitale.

Nessuno riconosce l’altro, e questa instabilità ha finito per riflettersi nella miriade di fazioni che si scontrano per il controllo politico del paese, tra cui, da parte islamica, spiccano gli estremisti di Ansar al-Sharia, e la milizia Fajr Libia (Alba della Libia, secondo gli Usa anch’essa sostenuta dal Qatar).

Quest’ultima ha il proprio quartier generale a Misurata ed è il gruppo militare che è riuscito a strappare, nonostante i bombardamenti dal cielo, il controllo dell’aeroporto di Tripoli alla milizia Zintan dell’ex generale Khalifa Haftar.

La milizia Zintan, invece, è una sorta di terza forza tra gli islamici e i liberali, il cui scopo proclamato è combattere tutti i gruppi islamisti ed estremisti (senza distinzioni di genere e sigla) dal territorio libico.

Proprio Haftar, figura ambigua con sospetti legami con la Cia, si era attribuito il “merito” del bombardamento aereo a Tripoli, subito smentito in quanto, come riferito dal New York Times, la sua milizia non sarebbe dotata di un simile equipaggiamento militare. L’ipotesi Emirati, infatti, sembra molto più plausibile.

Per quanto riguarda il coinvolgimento dell’Egitto, invece, la Bbc cita le recenti visite di Haftar al Cairo dove il governo del generale al-Sisi si sarebbe mostrato preoccupato per la situazione nella città orientale di Derna, non lontana dal confine egiziano: qui, infatti, gli estremisti locali avrebbero proclamato un califfato a imitazione del tanto temuto Stato islamico che controlla alcune zone di Iraq e Siria. Così, la situazione si complica ulteriormente.

E dire che l’Egitto aveva di recente invocato una ripresa del dialogo nazionale in Libia. L’attacco aereo all’aeroporto di Tripoli, sferrato apparentemente senza il consenso statunitense e condannato anche dalle Nazioni Unite, apre invece uno scenario diverso: quello del possibile inasprimento di una guerra civile che sembra in realtà già essersi trasformata in una guerra per procura per le grandi potenze del Medio Oriente.

Immagine di TUBS via Wikimedia Commons.

September 01, 2014di: Anna ToroEmirati Arabi UnitiLibia,

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