Focus/Giordania: stabile, ma non autosufficiente

Il Regno Hashemita di Giordania non è certo un gigante economico nella regione. Eppure, la sua economia risulta attualmente la più stabile della regione. O meglio, la stabilità politica rende tale anche la sua economia.

Il paese conta una popolazione di poco più di sei milioni di abitanti con un reddito medio pro capite di circa 4.500 dollari (dati FMI). Le sue riserve d’acqua, di petrolio e di altre risorse naturali sono insufficienti. Scarso di aree coltivabili, il paese presenta un settore industriale ancora poco sviluppato. Altre sfide economiche, come gli alti tassi di povertà, la disoccupazione, l’inflazione e un largo deficit di bilancio, spiegano la cronica dipendenza, da parte del governo, dall’assistenza esterna.

Dal momento del suo insediamento al trono nel 1999, il re Abdallah ha riposto a tali sfide con significanti riforme economiche, quali una maggiore apertura dei commerci, la privatizzazione delle compagnie statali e l’eliminazione dei sussidi per i carburanti, incentivando così negli ultimi anni la crescita economica attraverso l’attrazione di investimenti stranieri e la creazione di posti di lavoro. Malgrado l’instabilità dell’area in cui la Giordania si trova, l’economia del paese è cresciuta nell’ultimo decennio in modo costante. I dati del FMI mostrano come la Giordania abbia goduto, tra il 2005 e il 2008, di un aumento del PIL annuo del 7-8% circa.

La Giordania sembra quindi aver saputo sfruttare i suoi punti di forza, pochi ma importanti, ovviando così al limite rappresentato dalle piccole dimensioni del suo mercato interno. Tra questi, la stabilità politica ed economica del paese, che assume tanta più importanza nell’ambito geografico in cui esso si trova a dover interagire, il Medio Oriente.

Nel 2000, la Giordania ha siglato un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, dando un netto impulso alle esportazioni oltreoceano. La vicinanza politico-commerciale con gli Stati Uniti, geografica con l’Iraq, nonché i buoni rapporti con gli altri vicini arabi e con lo Stato di Israele, con cui la Giordania ha siglato un trattato di pace nel 1994, hanno permesso al Regno Hashemita di proporsi come un polo commerciale per tutta l’area mediorientale e di attrarre così investimenti esteri, che si sono andati ad assommare al flusso unilaterale delle rimesse degli emigrati all’estero.

Il rallentamento economico globale in seguito alla crisi del 2008 ha affossato la crescita del PIL giordano, attaccando fortemente settori di esportazione come la manifattura e i prodotti delle miniere. Dal 2009, il tasso di crescita dell’economia giordana si è quasi dimezzato, attestandosi negli ultimi due anni tra il 2 e il 3% (dati FMI) e il commercio con l’estero, vitale per l’economia del paese, ha subito una forte contrazione. Tra il 2009 e il 2010 il rallentamento dell’economia globale ha fatto crollare la domanda di prodotti giordani, così come l’afflusso dei capitali esteri di investimento. Evidentemente, la forte dipendenza dell’economia giordana dall’estero, soprattutto dagli Stati Uniti, si è rivelata alquanto fragile e impreparata nei confronti della crisi che sta toccando, con conseguenze diverse, tutti i paesi del mondo.

A questa situazione, si aggiunge nel 2011 la primavera araba, che arriva ad Amman alla metà di gennaio, quando migliaia di giordani sono scesi nelle piazze delle principali città del paese per protestare contro l’inflazione e le ingenti imposizioni fiscali. Per evitare l’acuirsi del malcontento popolare, il governo ha varato a tempo record un piano di sostegni sociali da 169 milioni di dollari. Le proteste sono state sedate, e da allora la situazione sembra tranquilla.

Se quindi la primavera del 2011 non ha affossato l’economia del paese, certamente non ha però favorito lo sviluppo dell’interscambio commerciale. Inoltre, l’aumento dei prezzi delle risorse energetiche, petrolio in primis, non stanno aiutando la quadratura dei conti del bilancio commerciale del paese. Secondo i dati IIF, nel 2011 la crescita del PIL scenderà al 2,8%, dopo il 3,3% dello scorso anno: un dato non disastroso, ma pur sempre in discesa, in un’economia che già stenta a riprendersi dalla batosta del 2008. Se le riforme attuate dal re Abdallah hanno indubbiamente contribuito ad aprire il paese al commercio estero, sviluppando un’importante economia export-led, tuttavia esse lo hanno reso troppo dipendente da fattori esterni e difficilmente controllabili.

In un tale scenario, appare evidente come il sistema economico della Giordania risulti inadeguato nella congiuntura attuale e di come esso necessiti di una radicale riforma, che riconsideri innanzitutto l’allacciamento preferenziale agli Stati Uniti e che si impegni piuttosto nella ricerca di nuovi mercati di sbocco per i propri prodotti. Un’altra priorità, poi, è rappresentata dai sistemi di approvvigionamento energetico. La Giordania sta esplorando nuove forme di produzione di energia e sembra soprattutto orientata ad uno sviluppo del nucleare. Non è certo tuttavia che il vicino israeliano possa accogliere con particolare favore la presenza di altri impianti nucleari, oltre ai propri, nella regine mediorientale.

In secondo luogo, l’approvvigionamento idrico. La Giordania condivide con Israele il bacino del Giordano e il suo principale affluente, lo Yarmouk, e ha sottoscritto accordi di cooperazione idraulica con lo stato ebraico. In generale, la collaborazione con i vicini potrebbe essere la chiave di soluzione dei problemi del paese. La Giordania, infatti, potrebbe dare nuovo impulso alla propria economia se rafforzasse e sviluppasse ulteriormente il proprio ruolo di paese mediatore tra le istanze dei vicini arabi e il difficile vicino israeliano, sfruttando la propria posizione di paese stabile e non ostile ai propri vicini, unico caso tra i paesi del Medio Oriente, e tramite adeguati investimenti per lo sviluppo di un mercato intra-regionale, di cui la Giordania costituirebbe il centro catalizzatore. Certamente, le annose questioni mediorientali (Palestina e Iraq) e la difficile primavera siriana non sembrano poter favorire, almeno per quest’inverno, una tale soluzione.

di: Giovanni AndrioloGiordania,

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