Marocco. Nel regno dell’economia di rendita

Cave per l'estrazione di sabbia - foto Lakome

La pubblicazione dell’elenco dei beneficiari delle autorizzazioni estrattive per cave di sabbia ha messo a nudo il malfunzionamento di un settore economico che, pur sottoposto al controllo statale, è affetto da alti livelli di corruzione e da frodi massicce. Lo rivela un’inchiesta di Lakome.

Di seguito proponiamo alcuni stralci dell’inchiesta “Bienvenu au royaume de la rente”, pubblicata nel gennaio scorso dalla versione francofona del sito Lakome e recentemente premiata dall’ong olandese Free Press Unlimited con il riconoscimento Press Now.

L’inchiesta, incentrata sull’elenco pubblicato nel novembre 2012 dal governo marocchino, mette in evidenza che a beneficiare delle autorizzazioni estrattive – concesse dal Palazzo attraverso le sue diramazioni locali – sono soprattutto gli accoliti del regime.

Come se non bastasse, la grande maggioranza delle imprese di cui Lakome ha potuto consultare i conti non dichiara i propri profitti evitando così di pagare imposte sugli utili.

Ad un’analisi approfondita, in effetti, i bilanci di queste imprese rivelano una vasta serie di anomalie che darebbero del filo da torcere anche ad un attento ispettore del fisco. I detentori delle autorizzazioni estrattive per le cave di sabbia si nascondono spesso dietro a società registrate nei paradisi fiscali, i cui azionisti – chiaramente anonimi – sfuggono alla rendicontazione marocchina, con un’evasione stimata attorno ai 3 miliardi di dirham l’anno (circa 300 milioni di euro, ndt).

Per completare il quadro, alcune di queste società risultano affiliate ai più stretti collaboratori del sovrano Mohammed VI, tra cui ad esempio il “segretario particolare” del monarca (l’uomo d’affari Mounir Majidi, ndt).

Rivelazioni che risultano cruciali per comprendere il livello di corruzione che permea l’intero sistema economico del paese (…). Le verifiche effettuate sull’elenco dei beneficiari mettono anche in evidenza la mediocrità di uno Stato che è tenuto in scacco da quei vertici che ne detengono l’effettivo potere (…).

Esempio lampante di questa situazione è la duttilità con cui vengono applicate le leggi. Il diritto non è la conseguenza di ciò che viene scritto e votato nei testi (ad esempio la Costituzione), ma ciò che più piace e fa comodo ai governanti, uno strumento al servizio del Palazzo.

Questa realtà è ormai radicata nel dna del sistema, che rende imperituro lo slogan: “La legge esiste, il problema è che non viene applicata correttamente”.

Il malfunzionamento però non è attribuibile (soltanto) all’incompetenza dei funzionari, alcuni dei quali al contrario hanno dato recentemente prova di onestà e zelo. È il caso dei giudici della Corte dei conti che, con i loro ultimi rapporti, hanno fatto onore alla loro missione svelando numerose ingiustizie.

Non è certo colpa loro se – in seguito alla pubblicazione dei rapporti – nulla è stato fatto per mettere fine agli ampi favoritismi che il CDVM (Conseil Déontologique des Valeurs Mobilières) ha concesso in questi anni al direttore generale di Addoha Anas Sefrioui (costruzioni), altro protetto del regime. Non è una loro responsabilità se l’agenzia di stampa statale (la MAP) continua ad insultare l’intelligenza dei marocchini producendo informazione in stile “nord-coreano” nonostante la Corte abbia sollevato forti dubbi sulla sua gestione…(seguono altri esempi nell’inchiesta originale, ndt).

Questi casi dimostrano che il problema non risiede tanto nei tecnicismi o nella correttezza degli impiegati statali, quanto nella concezione stessa di un sistema che, per rimanere in vita, si nutre di espedienti e di malgoverno.

Un altro tema affrontato dall’inchiesta di Lakome riguarda la questione del Sahara. Se uno degli slogan utilizzati dal regime per discreditare i suoi oppositori è quello di apostrofarli come traditori della “causa nazionale” nella lotta per l’integrità territoriale, l’indagine sulle autorizzazioni per le estrazioni di sabbia nel Sahara permette ai cosiddetti “indipendentisti” di prendersi la loro rivincita.

Le società accreditate, che appartengono tutte a potentati locali alleati del makhzen [regime, ndt], sono infatti le meno trasparenti tra quelle contenute nella lista pubblicata dal Ministero delle Infrastrutture. Gli attivisti saharawi non potevano sperare di meglio per rafforzare le loro accuse nei confronti di uno Stato che dipingono come coloniale e mafioso.

L’ultima lezione che l’inchiesta ci impartisce porta il nome di un piccolo comune rurale: Ain Tizgha.

È il classico esempio di un villaggio ricco di risorse ma povero di servizi e infrastrutture, a causa della cattiva gestione delle risorse stesse e del vorace affarismo di “pochi eletti”. Un recente rapporto stima che, a causa delle frodi fiscali e delle protezioni altolocate di cui beneficiano i detentori dei permessi, il comune percepisce solo il 30% del totale degli introiti derivanti dalla tassa sullo sfruttamento delle cave di sabbia. Tradotto in dirham significa che solamente 5 milioni [circa 500 mila euro, ndt] entrano nelle casse municipali a fronte degli 11,7 milioni che gli sarebbero dovuti [1 milione e 100 mila euro circa, ndt].

Ecco uno dei tanti villaggi sconosciuti che senza essere tra i più indigenti del paese è ben lontano dal poter godere delle sue effettive ricchezze. Gli abitanti vivono ancora, per la maggior parte, di agricoltura di sussistenza mentre vedono saccheggiate le loro risorse.

Imprenditori diversi dagli altri

Molto apprezzata dalle elite di Casablanca per il suo particolare microclima e il suo paesaggio verdeggiante, la foresta di Benslimane è diventata un’attrazione anche per i numerosi imprenditori del settore estrattivo. Il sottosuolo della regione, attraversato dal fiume Cherrat, è ricco di diversi materiali – ghiaia, marmo, arenarie – che permettono di rifornire i numerosi cantieri edili di Casablanca dei dintorni.

Ad Ain Tizgha, piccolo comune rurale situato nel cuore delle foresta di Benslimane, l’estrazione mineraria è certamente una delle principali fonti di reddito: 18 sono le cave che si registrano nel territorio e il comune riceve – o meglio dovrebbe – una compensazione proporzionata alle quantità di materia prima estratta (tra i 4 e 6 dirham per metro cubo).

Dovrebbe’ perché gli imprenditori coinvolti, nei fatti, non sono soliti dichiarare per intero i proventi delle loro attività.

Anzi, secondo un rapporto finanziario realizzato nel 2009 dalla Direzione generale delle collettività locali (DGCL) “è probabile che l’ammontare delle estrazioni dichiarate sia pari (soltanto) al 30% del totale”. Ciò significherebbe che alle casse comunali ogni anno verrebbero sottratti più di 10 milioni di dirham!

Ain Tizgha- Lussemburgo: solo andata

Lakome ha quindi cercato di saperne di più sulle società che estraggono materiali dalle cave. Al di fuori dei cementifici (Holcim e Betomar) e di qualche noto imprenditore (El Alj, El Eulj), Lakome ha trovato non poche sorprese tra nomi delle 18 aziende registrate nell’elenco ufficiale dei detentori di licenze estrattive.

La prima della lista è un’impresa sconosciuta al tribunale del commercio, la “Karitek”, che dal 1999 ha il monopolio su una superficie di 70 ettari.

Sempre secondo l’elenco ufficiale, la prima autorizzazione per lo sfruttamento delle foreste demaniali risale al 1998. Si tratta di una concessione fatta alla società Azicoma, creata dalla famiglia Ngadi Chouaf e da un certo Rachid Fahmane. Quest’ultimo risulta anche essere vice-presidente della Federazione reale marocchina per gli sport equestri. In qualità di allevatore di cavalli vicino all’entourage reale, Rachid beneficia anche di licenze per la pesca d’altura e possiede diverse società nel settore delle costruzioni e nell’agroalimentare.

Nel 2007, il signor Fahmane ha ottenuto una seconda autorizzazione per l’estrazione ad Ain Tizgha, questa volta su un terreno privato, in associazione con una misteriosa società lussemburghese “MDS Participations SA”.

Impossibile sapere chi si nasconde dietro questa società: nel Gran ducato di Lussemburgo, paradiso fiscale nel cuore dell’UE, i segreti bancari sono davvero ben tutelati.

La sola informazione disponibile è il nome del rappresentante legale marocchino della MDS Participations SA, si tratta della signora Loubna Batoul Majidi, notaio a Rabat e sorella del “segretario particolare” di Mohammed VI, Mounir Majidi.

Rachid Fahmane e la MDS Participations SA hanno sfruttato questa cava fino al 2011, per poi rivenderla alla società di un businessman vicino ai partiti di governo. Quanto hanno guadagnato nel periodo compreso tra il 2007 e il 2011? Assolutamente niente, almeno stando ai bilanci ufficiali depositati presso la cancelleria, dove il budget risulta sempre deficitario.

(…)

Questa parte dell’inchiesta, la più corposa e dettagliata, prosegue mettendo in luce le relazioni personali tra la potente famiglia Majidi e la fitta rete di prestanome, intermediari e società fantasma che ha assicurato il trasferimento dei guadagni delle cave in altri paradisi fiscali (Svizzera, Isole Vergini Britanniche) fino a pochi mesi prima che l’elenco dei beneficiari fosse reso pubblico.

Elenchi e anomalie in nome della “trasparenza”

La lista ufficiale dei possessori delle licenze per lo sfruttamento delle sabbie, a lungo avvolta nel più completo riserbo, è stata resa pubblica nel novembre 2012. I funzionari del ministro Aziz Rebbah (membro della formazione di ispirazione islamica PJD, Partito della giustizia e dello sviluppo, vincitore delle elezioni del 2011, ndt) hanno classificato le 1885 cave registrate secondo la loro origine geografica, fornendo un certo numero di informazioni: nome del possessore, numero, data e durata dell’autorizzazione, superficie e quantità estratta dichiarata, tipologia di materiale estratto e del terreno, ecc..

“Il cittadino è oggi in grado di conoscere i luoghi dove si trovano queste cave, le loro caratteristiche, le società che vi operano, le modalità d’estrazione e il quadro giuridico che regola il settore”, affermava Rebbah davanti al Parlamento lo scorso 29 gennaio.

L’esame di quest’elenco, tuttavia, fa emergere non poche anomalie e stranezze e rivela la portata estremamente limitata – quanto a incentivo per la trasparenza e lotta all’economia di rendita – dell’azione di governo.

In primo luogo i dati forniti dal ministero sono incompleti. La durata dell’autorizzazione accordata risulta spesso “non dichiarata”. Allo stesso modo, in diversi casi non sono presenti le cifre relative alla superficie e alle quantità estratte. Il ministro ha spiegato a Lakome che i servizi centrali di Rabat non hanno fatto altro che raccogliere – senza verificare – le informazioni provenienti dalle delegazioni provinciali.

Come vederci chiaro, allora, in questa giungla composta da 1885 cave, di cui il 60% è in mano a società (persone giuridiche) difficilmente riconducibili a persone fisiche? Lakome si è concentrato principalmente sugli estrattori delle dune sabbiose (138 cave) e sui terreni di demanio pubblico.

Innanzitutto è possibile notare l’elevato numero di autorizzazioni concesse o rinnovate durante tutto il 2012, ovvero fino a poco tempo prima della pubblicazione dell’elenco (realtà che contrasta con la politica di lotta alla corruzione professata dal PJD) (…).

Lakome, per poter risalire agli azionisti delle società autorizzate all’estrazione, ha utilizzato l’unica banca dati disponibile in Marocco, ovvero il registro centrale del commercio. I risultati della ricerca riflettono la scarsa trasparenza dei nuovi (come dei vecchi) operatori e l’anarchia che regna nel settore, dominato dall’informale.

Le autorità hanno infatti rilasciato il via libera a numerose società che non compaiono nemmeno nel registro. Una pratica che interessa soprattutto le cave del Sahara Occidentale (Laayoune e Dakhla), dove le aziende estraggono la sabbia essenzialmente da terreni pubblici.

Prendiamo il caso di “Ettaiba”, una società immobiliare di Berrachid che pur continuando a beneficiare di tre concessioni (la prima addirittura risalente al 1998) si configura a tutt’oggi nell’elenco come “impresa in corso di identificazione”…

Altre società detentrici di autorizzazioni, che sono invece registrate, non rispettano gli obblighi di deposito legale presso la cancelleria del tribunale, non fornendo così alcuna informazione sul conto delle attività che svolgono. In questa categoria rientrano diverse imprese attive in territorio sahariano: Akouje, Tasdir, Sehir, Rmouk, Al Koudass, Fala sable (…).

Ecco allora che la gestione delle concessioni per lo sfruttamento della sabbia – come del resto quella di altri settori economici soggetti alla “regolamentazione” statale – diventa lo specchio per comprendere meglio la strategia ipocrita del regime.

Un regime che può continuare ad ostentare le sue opere di carità, attraverso la Fondazione Mohammed V e il grande show della campagna di solidarietà nazionale, mentre perpetua un metodo di gouvernance che priva i marocchini di quanto gli spetterebbe di diritto.

*Per leggere la versione originale e integrale dell’inchiesta clicca qui. Ricordiamo che a causa della censura imposta sul sito Lakome non è possibile accedere alla pagina dal territorio marocchino.

*Traduzione e sintesi a cura di Giulia Fagotto

October 29, 2013di: Omar Radi, Chirstophe Guguen e Aboubakr Jamai*Marocco,Articoli Correlati:

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