Israele-Siria: una pace impossibile?

Con la crisi in Siria che si aggrava giorno dopo giorno, le insolite affermazioni di simpatia di un deputato israeliano nei confronti dei ribelli siriani rompono il tabù della pace con Damasco ed aprono nuovi scenari riguardo al conflitto scoppiato nella nazione araba.

di Nino Orto

Recentemente Isaac Herzog, deputato della Knesset (Parlamento israeliano) e figura influente all’interno della commissione esteri e difesa ha dichiarato che, secondo fonti vicine ai ribelli, l’opposizione siriana vorrebbe diventare “amica” di Israele, e si è augurato che Tel Aviv potesse fornire assistenza umanitaria ai rivoltosi.

La sua visione, alquanto in anticipo rispetto agli eventi, rispecchia anche la posizione del ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, che in una recente intervista sosteneva che “lo Stato ebraico non può restare a guardare mentre in un paese vicino sono in corso atti terribili e dove la gente sta perdendo tutto ciò che gli è caro”.

Il numero uno della diplomazia israeliana ha sottolineato come se “anche Israele non possa intervenire negli affari interni di un paese con il quale non ha rapporti diplomatici è suo dovere morale quello di offrire loro aiuti umanitari e chiedere al mondo di porre fine al massacro”.

Sull’argomento si è espresso Bruce Riedel, ex membro della CIA, dalle pagine online del DailyBeast ha proposto una soluzione a suo dire “vantaggiosa” sia per i ribelli siriani che per lo Stato ebraico.

Lo 007 americano suggerisce al governo Tel Aviv di intervenire per rovesciare Assad e concedere al nuovo governo siriano le Alture del Golan in cambio della pace.

Come conseguenza diretta, secondo l’analista, si formerebbe un esecutivo di moderati musulmani sunniti che – vista l’appartenenza settaria – romperebbe i decennali legami della Siria con l’Iran e il libanese Hezbollah.

Ma, al di là delle visioni più o meno ottimiste, la realtà di fatto è un’altra, e vede gli interessi del paese ebraico in netto contrasto con le politiche di pace e di distensione verso il suo vicino di casa.

La Siria, sotto questo aspetto, assume una particolare rilevanza perché a differenza dell’Egitto e della Giordania, è ufficialmente in guerra con Israele ed ha tuttora un contenzioso territoriale aperto riguardo le Alture del Golan, occupate dal paese ebraico durante la Guerra dei Sei giorni.

La storia dei negoziati tra Siria e Israele è stata caratterizzata fin dal 1967 da una serie di opportunità mancate che hanno sostanzialmente avvantaggiato Tel Aviv riguardo al territorio occupato del Golan.

La situazione di stallo venutasi a creare, unita al bilanciamento di potenza-deterrenza tra le due nazioni, ha poi contribuito ad un congelamento delle ostilità.

Non stupisce quindi che, proprio per tali motivi, in privato le alte sfere israeliane credono fermamente che Assad resti la ‘scelta migliore’ rispetto a tutti gli altri possibili scenari che potrebbero delinearsi con la sua caduta.

Ne è la riprova l’atteggiamento di in un insolito Netanyahu che, nelle vesti di pragmatico, ha recentemente confessato di fronte ai media israeliani il suo timore a rilasciare dichiarazioni in merito alla Siria.

In particolare, il premier ha ammesso di temere che qualsiasi sua dichiarazione pubblica potesse essere utilizzata da Bashar al-Assad al fine di accusare Israele delle rivolte contro il suo regime.

In realtà non è questo il vero problema, e se ne comprende il perché. Il fatto è che oggi il governo di Tel Aviv ha paura di essere travolto dagli eventi.

In particolare, ciò che preoccupa seriamente l’esecutivo israeliano è il verificarsi di una guerra civile che sfoci in un conflitto confessionale, con un’escalation esponenziale di guerriglia jihadista nella regione. Siria e del Libano diventerebbero così il campo di battaglia privilegiato nella faida che vede contrapposti Arabia Saudita e Iran.

D’altronde, nemmeno un nuovo governo a propulsione rivoluzionaria, pur appoggiato da Israele, sarebbe perfettamente compatibile con i piani degli strateghi di Tel Aviv.

Di certo, la sostituzione di un regime temibile ma conosciuto, con un governo popolare che cavalchi gli imprevedibili umori della piazza non sarebbe certamente una cosa gradita ad Israele, soprattutto ora che la partita in corso tra Teheran e Tel Aviv per la supremazia regionale si gioca anche sugli instabili equilibri che poggiano in gran parte proprio sul regime degli Assad.

La particolare alleanza che lega Damasco agli ayatollah iraniani e agli Hezbollah libanesi inoltre rende ancora più difficoltosa una reale presa di posizione a favore degli insorti, perché non solo inserirebbe Tel Aviv tra le parti belligeranti, ma offrirebbe anche un’ottima sponda alla retorica di Teheran e di Hezbollah contro Israele, proprio in un momento in cui tutta la comunità internazionale ha gli occhi puntati sulla Siria.

L’esercito siriano libero si è formato nell’aprile del 2011, quando un consistente gruppo di ufficiali dell’esercito ha disertato dalle forze militari di Assad scatenando la reazione del regime che ha cominciato a massacrare i suoi cittadini come risposta alle diserzioni e all’escalation di manifestazioni anti-governative.

Agli inizi di giugno, la nuova milizia ha creato un fronte comune con il “Movimento degli ufficiali liberi” formando il gruppo armato più significativo nella battaglia dell’opposizione siriana contro il regime di Assad.

Da allora il libero esercito siriano è presente in sei delle quattordici province del paese, ed è attivo anche nei sobborghi di Damasco, a Daraa, a Deir ez-Zor, a Idlib, ad Hama, e, naturalmente, nel principale fronte del conflitto, Homs.

Da mesi i ribelli tendono a concentrare i loro attacchi contro i check-point militari presidiati dall’esercito regolare, e ad effettuare imboscate contro le pattuglie governative, senza però essere in grado di provocare irrimediabili perdite tra le fila dell’esercito governativo.

Tuttavia, la preoccupazione principale di Israele, non si limita solo agli aspetti militari e politici di un nuovo governo. Essa comprende anche i timori sulla possibile dispersione dell’arsenale del regime siriano in mano a cellule di Al-Qaeda e le incertezze riguardo l’utilizzo da parte dei ribelli dell’apparato bellico nazionale in caso di una loro vittoria.

Considerazioni che hanno portato il paese ebraico a frenare fino ad ora ulteriori evoluzioni sul campo, e a consigliare agli alleati occidentali di valutare attentamente se le forze di opposizione possano realmente sconfiggere un esercito ben equipaggiato, addestrato e fedele al regime come fino ad ora si è dimostrato essere quello di Assad.

Le escalation di tipo militare a cui stiamo assistendo oggi hanno trasformato quello che era iniziato come una pacifica manifestazione popolare a favore della democrazia in una vera e propria guerra che rischia di assumere caratteri regionali e confessionali, che possono incendiare tutta la regione ed interessare direttamente la sicurezza nazionale di Israele.

La scorsa settimana, il quotidiano israeliano Hareetz, ha pubblicato uno studio nella quale si immaginavano le proposte che un futuro governo siriano avrebbe probabilmente avanzato nei negoziati di pace con la Siria.

In tutti i casi esposti gli autori concordavano sul fatto che Israele, qualsiasi negoziazione di pace avesse sostenuto, avrebbe dovuto concedere come contropartita necessaria un graduale ritiro dalle Alture del Golan.

A sostegno di questa tesi, al termine della ricerca, si evidenziava come la pace tra Israele e la Siria oltre che allontanare Damasco dalle malevole influenze iraniane avrebbe sicuramente indebolito Hezbollah ed allentato le frizioni con il paese dei cedri.

Le risposte dei cittadini israeliani però non si sono fatte attendere e le discussioni che si sono accese dopo la pubblicazione ruotavano sempre intorno agli stessi temi: perché mai i ribelli siriani dovrebbero essere più pacifici degli islamisti libici o dei salafiti egiziani?

A che servirebbe abbandonare il debole Bashar al-Assad per più aggressivi e imprevedibili nemici? Che senso avrebbe lasciare le Alture del Golan dopo cinquant’ anni?

Questi sono i timori con cui la maggior parte della popolazione israeliana si confronta riguardo al futuro della Siria e di quello che potrebbe succedere se l’era Assad dovesse tramontare, preoccupazioni che spiegano anche la cautela e il basso profilo con cui i media del paese e i politici si sono posti rispetto alla questione.

9 marz0 2012

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