Siria. Perché attaccare Jabhat al-Nusra favorisce il terrorismo

Dopo oltre 3 anni di guerra in tanti hanno scelto di arruolarsi tra le fila dell’estremismo. Si tratta spesso di cittadini comuni, che speravano di allontanare l’organizzazione da al-Qaeda portandola nell’alveo di una futura Siria democratica. Una speranza svanita con l’attacco americano.

I bombardamenti in Siria, di cui Washington si è premurata di preavvisare (leggi: coordinare con) Damasco, non colpiscono solo i terroristi dello Stato Islamico (Is), le cui capacità e presenza in Siria sono state sottovalutate dall’intelligence americana, per stessa ammissione di Obama.

Oltre agli uomini di al-Baghdadi raggiungono anche quelli di Jabhat al-Nusra (Jan) guidati da al-Golani, provocando i primi danni collaterali a Deir al-Zour, Raqqa, Idleb e intorno al Aleppo. Nessun colpo viene invece assestato all’infrastruttura miliare di Asad, che parla dei raid in modo tutto sommato compassato e quasi benevolo.

Queste le sue parole all’agenzia di stampa ufficiale SANA pronunciate la settimana scorsa: “La Siria continuerà, in modo risoluto, a combattere la sua guerra contro il terrorismo che porta avanti da anni…e sosterrà qualsiasi sforzo internazionale” con lo stesso obiettivo.

Il primo risultato della brillante strategia statunitense è stato quello di dare immediatamente l’impressione di un’alleanza con Asad; del resto, appena pochi chilometri più in là Iran e Stati Uniti cooperano de facto nel colpire l’Is in Iraq, spingendo tra le sue braccia tutte quelle forze islamiste che tentennavano, e prima fra tutte proprio Jabhat al-Nusra, gemella separata quasi alla nascita di Is.

Jan è una delle più organizzate e meglio armate formazioni del fronte anti-Asad, potendo contare sui finanziamenti che il network di al-Qaeda può garantire, ed è inoltre tra le più rispettate proprio perché, in virtù della sua relativa ricchezza, sono davvero rari gli episodi di saccheggio che invece hanno visto coinvolte altre formazioni, tra queste lo stesso Esercito Libero Siriano, tra le cui fila, a sua volta, si annidano anche criminali comuni e signori della guerra.

Nonostante Jan sia un’affiliata di al-Qaeda e condivida con lo Stato Islamico buona parte dell’impianto ideologico salafita, le due formazioni sono molto differenti e combattono su fronti contrapposti.

Mentre l’Is cerca di conquistare porzioni di territorio strategiche e ricche di risorse, per poi stabilircisi cercando di consolidare il proprio pseudo-Stato, Jan combatte al fianco dei rivoluzionari siriani contro il regime di Asad, come ribadito nel suo messaggio “Consigli per i musulmani e avvertimenti per gli infedeli”.

L’Is inoltre impone da subito una rigidissima interpretazione della sharia, dichiarando apostata o infedele chiunque si opponga (la pratica del takfir) ed usando il pugno di ferro; Jan cerca invece di conquistare anche i cuori e il rispetto della popolazione (forse anche perché composto essenzialmente da jihadisti siriani) e quindi di applicare la legge islamica in maniera più graduale, spesso facendo riferimento ai detti del Profeta che ne sospendono o alleggeriscono le prescrizioni in tempo di guerra.

Jabhat al-Nusra, il “Fronte della Vittoria”, è il “legittimo” portabandiera di al-Qaeda in Siria, il titolare del “franchising del terrore” investito da al-Zawahiri in persona, che ne riconosce il leader in Abu Muhammad al-Jawlani, numero due di al-Qaeda in Iraq fino al 2011, poi inviato in Siria da Abu Bakr al-Baghdadi (oggi autoproclamato Califfo dello Stato islamico).

L’organizzazione nota come Isis (Stato Islamico d’Iraq e della Siria), Isil (Stato Islamico d’Iraq e del Levante), Is (Stato Islamico) o Daesh nasce dalla scissione in seno a Jabhat al-Nusra, che ha visto buona parte dei jihadisti stranieri unirsi ad al-Baghdadi, mentre i siriani hanno preferito il più “moderato” Jawlani.

Il leader di al-Qaeda, Aiman al-Zawahiri, ha prima richiamato all’ordine al-Baghdadi e, di fronte alla sua “disobbedienza”, ha rotto ogni legame tra la sua rete terroristica e Daesh.

In estrema sintesi e approssimazione, in qualche modo la differenza tra Daesh e Jan somiglia a quella tra al-Zarqawi (di cui al-Baghdadi è discepolo) e Bin Laden: i primi vogliono distruggere l’attuale assetto statuale per dare luogo ad un caos creativo e ridar vita ad un Califfato; Jan invece vuole islamizzare gli Stati esistenti, senza ricorrere ad una anacronistica riproposizione del Califfato ma inventando una nuova forma per unire la Umma islamica.

Idee come queste fioriscono in un contesto di decennale frustrazione diffusa tra le popolazioni arabe ed islamiche, che a partire dal 2011 si sentono anche accerchiate e sotto attacco per il solo fatto di credere nella loro religione.

A creare lo spazio politico per questi tumori è il fallimento del panarabismo socialista, che ha generato dittature liberticide pluridecennali, e la mancanza di qualunque relazione tra governanti e governati che non sia declinata in rapporti di forza.

Il miglior antidoto sarebbe restituire la sovranità alle popolazioni oppresse garantendo assetti istituzionali che impediscano che tale sovranità venga loro di nuovo sottratta, agevolando la partecipazione dell’Islam politico al processo democratico e innescandone una necessaria evoluzione, come sta avvenendo oggi nella Tunisia del post-Ben Ali.

Chi sono gli uomini di Jan e Daesh?

A distinguere gli uomini dell’una e dell’altra organizzazione non è solo la netta prevalenza di siriani in Jan e stranieri in Daesh. Come dicevamo Jan dispone di finanziamenti e mezzi superiori alla maggioranza delle milizie d’opposizione.

Il siriano che volesse combattere contro Asad avrebbe da scegliere tra le brigate dell’ Esercito Libero e i suoi alleati – povere, senza divise, con scarse armi e munizioni, senza stipendio e con una linea di comando spesso dubbia – o arruolarsi sotto una sigla islamista come il Fronte Islamico (finanziato dai paesi del Golfo) – già in condizioni migliori, anche se le cose pare stiano cambiando – o, ancora, scegliere le fila di Jan ed avere armi migliori, comandanti che hanno già esperienza di jihad, uno stipendio regolare reversibile alla famiglia in caso di “martirio” ed essere inoltre rispettato perché parte di un’organizzazione nota per la sua rigida moralità.

Va da sé che dopo 3 anni e mezzo di guerra sono in molti coloro che scelgono di farsi crescere la barba e smettere di bere (almeno in pubblico) per arruolarsi.

Tuttavia, diversamente dai guerriglieri di Daesh, spesso jihadisti in cerca del martirio che hanno combattuto in altri scenari (Cecenia, Afghanistan) in molti casi si tratta di cittadini comuni “prestati” all’estremismo, pronti a tornare indietro alla prima opportunità: se la dirigenza di Jan sostiene un’ideologia salafita, jihadista, ed usa una retorica settaria, questo non è affatto rappresentativo della base dell’organizzazione, che molti nel paese speravano di allontanare da al-Qaeda per ricondurla nel futuro alveo costituzionale di una Siria pluralista e democratica.

Una speranza è svanita con l’attacco americano, che ha spinto Jan (ma anche la brigata Tawheed) tra le braccia del Califfo. E, da quello che emerge da queste statistiche, ha spostato gli attacchi del regime contro la popolazione civile, che si concentrano ora maggiormente a sud, dal momento che a nord (il dramma dei cittadini di Kobane è sotto gli occhi di tutti) a contribuire al caos siriano ci sono le bombe “internazionali” – insieme ovviamente alle barbarie dell’Is.

“Assad colpisce da una parte mentre la coalizione colpisce altrove”, hanno raccontato alcuni siriani al giornalista italiano Lorenzo Trombetta per Pagina99 .

“E’ proprio una guerra contro il popolo siriano… una guerra contro la sua rivoluzione”.

*Delle divisioni tra Jabhat al-Nusra, al-Qaeda e Stato Islamico si parla anche nel volume “La crisi irachena. Cause ed effetti di una storia che non insegna”, in stampa in questi giorni e che sarà presentato per la prima volta il 16 settembre a Roma al Salone dell’Editoria Sociale, a cura di Osservatorio Iraq, con la collaborazione di Un ponte per…

October 02, 2014di: Fouad Roueiha Siria,Articoli Correlati:

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