Yemen. I graffiti politici che risvegliano le coscienze

Una serie di murales per raccontare le questioni cruciali che affiggono il paese: l’idea è del giovane Murad Subay, artista e attivista che in questi ultimi anni il pubblico ha imparato a conoscere come il “Banksy yemenita”, grazie alle sue campagne politiche e sociali a suon di spray e colori per le piazze e strade della capitale.

 

 

L’ultima, le cui immagini hanno fatto il giro del mondo, si chiama “12 hours” (Dodici ore) e mira a evidenziare i “mali” dello Yemen, incentrando ogni ora dell’orologio su un tema diverso: dal settarismo al rapimento degli stranieri, dall’incarcerazione degli oppositori politici agli attacchi dei droni statunitensi nel paese.

“Dopo la rivoluzione – scrive Subay – mi sono reso conto che l’anima del popolo yemenita era frantumata a causa della guerra e della situazione all’interno del paese. Ho visto che gli edifici e le strade erano danneggiati e pieni di proiettili. Così sono andato su Facebook e ho detto che il giorno dopo sarei andato in piazza a dipingere. E così ho fatto”.

Alla chiamata su Facebook è seguita una massiccia risposta da parte dei cittadini, che si sono recati fuori con Subay e l’hanno aiutato a dipingere le pareti con potenti messaggi su governo, politica e ingiustizie sociali.

Lo scopo dell’artista, pienamente riuscito, è infatti coltivare la consapevolezza dei problemi in modo pacifico e partecipativo. E quale mezzo più immediato per arrivare al cuore della gente, se non i colori, l’arte e la strada?

Così, grazie a questa campagna durata un intero anno, dalle pareti hanno preso vita le tante ferite della storia yemenita degli ultimi 30 anni, visibili da tutti, e perciò diventate un atto di resistenza e di protesta. Non a caso, è capitato che diverse opere di Subay fossero state rimosse, rovinate o coperte.

La prima ora della campagna, ad esempio, è dedicata al problema della violenza armata in Yemen, un paese che, secondo i dati 2012 di Aljazeera, ha il secondo più alto tasso di possesso di armi nel mondo.

La seconda ora affronta invece il tema del settarismo, lo scontro tra sciiti e sunniti che da tempo provoca tensioni tra le due sette religiose. La popolazione dello Yemen, infatti, è divisa tra circa il 45% musulmani sciiti e il 55% di musulmani sunniti, il cui divario ha portato negli ultimi tempi a manifestazioni di odio, fanatismo, e rivolte.

La terza ora racconta delle sparizioni forzate, di arresti e carcerazioni di cui il governo continua a negare il suo coinvolgimento. In realtà si tratta di veri e propri rapimenti di stato, un tema che l’artista aveva precedentemente affrontato nella campagna creativa “The walls remember their faces” (I muri ricordano i loro volti) in cui i volti delle persone disperse apparivano sulle strade accanto al luogo e la data della loro scomparsa, scritti in arabo e in inglese.

Anche quella volta il successo di partecipazione da parte del pubblico era stato enorme.

Toccanti ed evocativi i graffiti dedicati al problema dei droni statunitensi nei cieli yemeniti, con le loro vittime civili “collaterali”, fonte di traumi e terrore per la popolazione.

Secondo una ricerca dello psicologo forense inglese Peter Schaapveld, ben il 92 per cento del campione di popolazione da lui esaminata è risultato essere affetto da disturbo da stress post-traumatico, che colpisce soprattutto donne e bambini. Si parla infatti di “un’intera generazione traumatizzata”.

Ma i “mali” dello Yemen non sono finiti: ed ecco che troviamo murales sul terrorismo, sulla povertà, sulla guerra civile, sul reclutamento dei bambini nei conflitti.

Ricchi di elementi simbolici sono poi quelli dedicati ai torbidi rapporti tra l’Arabia Saudita, l’Iran e gli Stati Uniti, che attraverso il pompaggio di denaro – e non solo – esercitano una forte influenza su tutte le decisioni politiche yemenite (e infatti si chiama la loro “ora” si chiama “Treason”, tradimento).

Infine si parla di corruzione, di stigmatizzazione ed emarginazione, per chiudere con un auspicio positivo, ovvero la “condivisione” della pace, con una strizzata d’occhio al web e ai social network.

Tanto grande è stato l’impatto di questi muri in tutto il mondo, che Murad Subay, nato nel 1987 nella provincia di Thamar, ha ricevuto diversi riconoscimenti, tra cui il premio internazionale “Arte per la pace” della Fondazione Veronesi.

L’artista ci racconta via mail di essere proprio in questi giorni alle prese con le pratiche per il passaporto, pronto per venire in Italia alla premiazione ufficiale che si terrà questo novembre. 

 

Per visitare la gallery sul nostro sito clicca qui.
Si ringrazia Murad Subay per la gentile concessione delle foto. 

 

October 12, 2014di: Anna ToroYemen,

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *