Iraq, 2003/2011: a otto anni dalla caduta di Saddam Hussein

Molti anni di presenza straniera hanno indiscutibilmente stravolto il paesaggio e la vita dei circa trenta milioni di iracheni. Un paese che, secondo le stime, potrebbe essere il primo produttore di petrolio al mondo in pochi anni, superando l’Arabia Saudita, diventando una potenza regionale molto influente. Ora le conseguenze del SOFA.

 

di Luca Bellusci 

 

La presenza americana ha sicuramente portato alcuni vantaggi sul piano della sicurezza e della ricostruzione infrastrutturale. Tuttavia, a distanza di otto anni dall’intervento armato per deporre il regime di Saddam Hussein, la situazione politica ed economica non è ancora stabile a causa di una scarsa capacità di rendere realmente autonome le varie istituzioni nazionali.

“Status of Forces Agreement” (SOFA)

Nel 2008 fu siglato un accordo tra l’ex amministrazione Bush e il governo iracheno per disciplinare la fase del ritiro delle truppe americane.

L’accordo, denominato Status of forces agreement (SOFA), prevede il ritiro entro il 31 dicembre 2011 di tutte le truppe di occupazione, fatta eccezione per alcuni istruttori e tecnici di polizia che rimarranno a completare il programma di addestramento delle forze armate irachene.

Questo modus operandi non è nuovo agli Usa. Fu infatti applicato anche nelle fasi post-conflittuali in Germania, Giappone e Corea del Sud, dove gli americani si garantirono in tal modo una presenza politica ed economica predominante.

Nel caso iracheno quest’accordo ha condizionato in modo decisivo le successive fasi di ricostruzione del paese, poiché ha intensificato quel big game regionale per accaparrarsi un ruolo centrale nel nuovo Iraq. Le potenze che maggiormente hanno dato luogo a questa “guerra d’interessi” sono, oltre agli Usa, Iran, Turchia e, fino all’inizio di quest’anno, la Siria.

Tra i principi più rilevanti del SOFA, c’è la garanzia d’immunità giuridica per le truppe internazionali, le compagnie e tutto il personale politico straniero. Il 31 dicembre prossimo questa garanzia verrà meno, come deciso dal Parlamento iracheno.

La decisione ha creato non pochi problemi all’amministrazione americana la quale, tramite il segretario alla Difesa Leon Panetta, ha dichiarato come potrebbe essere rivisto il programma di addestramento delle forze armate irachene, in mancanza di un’adeguata protezione del personale americano.

L’impegno americano in Iraq: alcune cifre

Il dato più emblematico, quello che rivela con maggiore impatto l’impegno assunto dagli Usa in Iraq, è sicuramente quello relativo al numero di vittime americane.

Dal 19 marzo 2003 sono 4,471 le vittime accertate e 32,175 i feriti; dall’inizio del conflitto sono stati impiegati in Iraq più di un milione di cittadini Usa, tra soldati e tecnici (dati forniti dal Dipartimento della Difesa USA). La stima fatta dall’Ufficio bilancio del Congresso americano sul costo totale della guerra, è di circa 709 miliardi di dollari, anche se sussistono alcune divergenze su questa cifra.

Secondo Stars and Stripes dal 2004 gli americani hanno investito circa 2,5 miliardi di dollari nella costruzione di basi militari, tra le quali: Joint Base Balad (nord di Baghdad), Camp Adder (nel sud del paese), Al-Asad Air Base (ovest del paese), Victory Base Complex (vicino all’aeroporto internazionale di Baghdad).

Per l’addestramento delle truppe irachene sono stati stanziati dal 2003 circa 8 miliardi di dollari, con un ulteriore stanziamento di 887 milioni per l’anno corrente. Sempre secondo il dipartimento di Stato americano dal 2012 saranno circa 16 mila i civili americani che lavoreranno stabilmente sul territorio iracheno.

La condizione dell’Iraq ad otto anni dalla caduta di Saddam Hussein 

Dopo otto anni di guerra e successiva ricostruzione, l’Iraq si presenta come un paese dalle grandi potenzialità ma cristallizzato in uno status quo politico e amministrativo che lo costringe ad una crescita rallentata. Il paese che sicuramente ha investito di più, in termini di risorse umane ed economiche, sono gli Usa.

Nel solo biennio 2008/09 Washington ha stanziato prestiti per la ricostruzione con oltre 2,5 miliardi di dollari, l’Italia è al quarto posto, dopo Giappone e Germania, con 429 milioni (dati OCSE).

Il sistema economico e amministrativo iracheno risulta essere ancora insufficiente e non riesce a garantire i servizi base per la popolazione. Secondo un’indagine del National democratic institute (NDI) condotta su un campione di cittadini iracheni, le principali preoccupazioni sono legate alla mancanza di lavoro (63%), alla scarsa copertura della rete elettrica (51%) e alla corruzione (58%).

Proprio la corruzione è la nota più dolente dell’attuale governo iracheno. Nel 2002, con Saddam Hussein ancora presidente, l’indice della corruzione stilato dall’agenzia Transparency international era 2,2 – tra i più bassi della regione MENA (Middle East and North Africa); nel 2010, dopo nove anni di sostegno americano alla ricostruzione anche amministrativa del paese, l’indice è sceso a 1,5 e rappresenta il più basso della regione.

Recentemente Stuart W. Bowen Jr., capo dell’Ispettorato speciale americano per la ricostruzione irachena (SIGIR), ha pubblicamente denunciato la mancata collaborazione del dipartimento di Stato americano nella condivisione di informazioni sensibili per quanto riguarda il budget utilizzato per il programma di addestramento delle truppe irachene.

Nello specifico, il SIGIR afferma come sino ad ora siano stati spesi solo il 12% dei fondi destinati a questo programma; la gran parte della rimanenza sarà presumibilmente destinata ai futuri contratti con le agenzie di contractor straniere per la sicurezza che, di fatto, saranno le uniche a operare in Iraq dopo il 2011.

L’ultimo rapporto del SIGIR (vedi Quarterly Report and Semiannual Report To Congress, Sigir July 2011) dello scorso luglio, afferma come l’Iraq segnerà molto probabilmente un record nel prossimo anno in termini di crescita del Pil, passando dall’1% del 2010 a quasi il 12% per il 2012 (9,6% – dato del Pil nel 2011, fonte: IMF).

Un’eccezionale crescita che però, secondo quanto rivela il rapporto, non coincide con un reale benessere dei cittadini iracheni. Infatti, sono solo alcuni i settori che trainano l’economia nazionale, come ad esempio la produzione, ancora scarsa in verità, di petrolio e gas, o come la costruzione di centrali elettriche e di infrastrutture sebbene molte zone del paese non godano ancora di una sufficiente copertura elettrica.  

Scenario politico interno

La situazione politica interna in Iraq è contraddistinta da un sostanziale blocco causato dalla divisione confessionale ed etnica che caratterizza l’attuale coalizione di governo. Sono prevalentemente tre i gruppi che rappresentano la vita politica in Iraq: 

– Blocco sunnita: Partito islamico dell’Iraq, leader Osama Tawfiq al-Tikriti, il Fronte nazionale di salvezza di al-Anbar, guidato dallo Sheikh Ali Hatem al-Suleiman, il Movimento arabo indipendente, guidato da Abd Mutlaq al-Jabbouri;

– Blocco sciita: Coalizione dello Stato di diritto (al-Dawa), capeggiata dal primo ministro Nuri al-Maliki, il Consiglio supremo islamico in Iraq (ISCI) guidato da Ammar al-Hakim, il Movimento sadrista di Moqtada al Sadr, il Movimento di riforma nazionale guidato da Ibrahim al-Jaafari, e il Congresso nazionale iracheno, che ha come leader Ahmed Chalabi;

– Blocco curdo: Partito democratico del Kurdistan guidato da Massoud Barzani, Unione patriottica del Kurdistan il cui leader è Jalal Talabani, Gorran guidato da Nawshirwan Mustafa. Le controversie tra questi schieramenti sono principalmente due: il controllo sulla stipula dei contratti energetici con le compagnie estere e la risoluzione dei territori contesi, regolamentata dall’art.140 della Costituzione irachena.

Ad animare lo scontro politico c’è anche una forte ingerenza esterna. L’Iraq è circondato da realtà molto influenti per gli equilibri geopolitici regionali. Iran, Turchia, Siria, Arabia Saudita, attraverso legami politici, economici e/o confessionali, hanno esercitato nel corso degli anni una sempre maggiore influenza nel paese.

Ad avere il maggior peso sulle scelte politiche è senza dubbio l’Iran, che ha un profondo legame politico e religioso con la realtà irachena e che viene apertamente rappresentato da diverse componenti politiche del blocco sciita. Il contrasto di interessi con gli americani appare dunque più che evidente e rappresenta una delle possibili chiavi interpretative per poter definire lo scenario attuale.

Alla luce degli ultimi eventi è difficile prevedere cosa potrà accadere nel 2012 in Iraq, il rischio di ulteriori crisi interne è ancora alto, come testimoniano le crescenti tensioni etniche tra curdi e arabi sunniti nel nord del paese.

La risoluzione delle divisioni interne rappresenta il reale ostacolo verso una concreta riabilitazione di Baghad nello scacchiere internazionale.
 

 

November 1, 2011

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